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Le interviste del Leo 47: DOTT.SSA ANNALISA SAVINO, PRESIDE DEL LICEO SCIENTIFICO LEONARDO DA VINCI.

“C’è tanto di umanamente insostituibile e di vitale in uno sguardo fra i compagni di classe, in un viaggio di istruzione insieme e anche in un abbraccio dopo un’interrogazione.

Abbiamo il piacere d intervistare e far conoscere al nostro pubblico la dott.ssa Annalisa Savino , preside del liceo Leonardo da Vinci di Firenze dal primo settembre di quest’anno. È al decimo anno di dirigenza scolastica, al ventesimo nella scuola. Ha studiato all’Università di Firenze, si è laureata in Filosofia, conseguendo successivamente l’abilitazione all’insegnamento per storia e filosofia, ma ha sempre lavorato nel primo ciclo. Prima ha insegnato alla scuola primaria, avendo superato da giovanissima un concorso che le ha consentito di lavorare e di mantenersi agli studi. Successivamente, dopo aver vinto il concorso per dirigente scolastico, ha diretto per un anno l’IC di Gambassi Terme e per 8 anni l’IC Ghiberti di Firenze. Inizia per lei, al Liceo Leonardo da Vinci, la sua prima esperienza di dirigenza alla secondaria di II grado.

Innanzitutto quali sono state le sue prime impressioni sulla scuola, essendo lei preside di questo istituto ormai dai primi di settembre? 

Allora, le prime impressioni sono state sicuramente molto positive, per quanto riguarda l’accoglienza che ho ricevuto e per l’ambiente che ho trovato: una scuola molto laboriosa, che conferma la sua fama di essere uno dei licei più accreditati di Firenze. Credo che abbia bisogno, un po’ come tutte le scuole del secondo ciclo, di tornare ad una normalità; riprendere gli spazi, le relazioni, la libertà di progettare e la serenità con cui ha saputo offrire agli studenti un percorso stimolante e ricco di progetti. È un istituto in cui si avverte molto la presenza di radici profonde e che coltiva la sua tradizione, ma allo stesso tempo proietta gli studenti verso le sfide del futuro. Fra queste sfide mi piacerebbe che già qui al liceo gli studenti potessero raccogliere, in particolare, la sfida ambientale e quella della giustizia sociale. L’agenda 2030 deve ispirare la nostra azione didattica e progettuale. Mi piace l’idea di un profilo dello studente che  che sappia coniugare il sapere scientifico con le questioni etiche. Inoltre anche con la pandemia si sono poste diverse questioni etiche di prim’ordine, di conseguenza siamo maggiormente richiamati a questo tipo di riflessione. 

Per caso ci sono particolari motivazioni che l’hanno spinta a venire in questa scuola? O è stato un caso? 

Ho lasciato l’istituto “Ghiberti” di Firenze dopo 8 anni intensi e molto belli, che hanno costituito un’importante parte della mia storia e della mia identità, ma ci sono dei momenti in cui si avverte la necessità di fare dei cambiamenti. Sono anche situazioni abbastanza istintive, oltre ad essere momenti di riflessione. Mi trovavo a scadenza di mandato, avendo ogni dirigente scolastico un mandato di tre anni. Ho visto che il liceo “Leonardo da Vinci” era una scuola disponibile e ho pensato che potesse incrociare il mio prosieguo professionale e darmi delle nuove motivazioni. Sono sempre stata molto attratta dal liceo: io stessa ho frequentato il liceo scientifico durante la scuola secondaria, quindi avevo una certa motivazione a ritornarci anche se in un’altra veste. 

Quale è in generale la sua idea di scuola? 

Mi piacerebbe comunicare il fatto che per me è una grande comunità, non mi piace l’idea di una scuola azienda, ma di un istituto come grande comunità educante. La scuola statale pubblica offre varie opportunità di studio e di crescita e per questo è una scuola inclusiva di per sé. Ovviamente questo per me vale anche per un liceo che si presenta ed è considerato come una scuola selettiva. Nella mia idea il liceo non seleziona, bensì è una scuola che promuove l’impegno e la forza di chi ce la mette tutta e lo fa dopo aver garantito a ciascuno pari opportunità e condizioni per potersi impegnare. La scuola deve valorizzare le eccellenze, ma anche mettere tutti nelle stesse condizioni di poterle manifestare, insieme al proprio percorso e al proprio impegno, perché non tutti partono dallo stesso livello. Quindi bisogna tener conto delle condizioni che hanno reso possibile i risultati di ciascuno studente. Un altro concetto che sento molto è la responsabilità educativa e formativa di chi ci lavora. Il fatto è che chi insegna ha sulle spalle un’enorme responsabilità di fronte al futuro delle giovani generazioni. Questo deve rendere orgogliosi e consapevoli della importanza di questo compito. Un’altra parola-concetto che mi piace associare alla scuola è il dialogo, che ritengo sia lo strumento fondamentale da attivare nelle varie relazioni, anche in quelle professionali.  

A proposito dei suoi obiettivi, oltre a quelli già menzionati per gli studenti e i percorsi futuri, ha altro in mente? 

Per quanto riguarda gli obiettivi della scuola, adesso ci apprestiamo a portare a termine un triennio progettuale e a pianificarne un altro: dal prossimo anno entrerà in vigore un nuovo PTOF. Essendo abituata a ragionare in questo modo, io immagino la scuola come una grande comunità nella quale ogni componente ha diritto all’ascolto e alla manifestazione delle proprie idee. Per cui, assieme al collegio docenti, deputato alla progettualità, individuerò nuovamente quelli che sono gli obiettivi e le priorità. Al collegio chiederò di progettare tenendo conto della voce degli studenti: credo che soprattutto adesso, dopo il periodo del lockdown e con una pandemia ancora in atto, ascoltare tutti (ma soprattutto chi è ancora molto a disagio) sia importante, perché ci sono stati molti studenti che sono rimasti bloccati o sono molto cambiati. L’accoglienza e il sapersi mettere in ascolto sono le condizioni preliminari per poter definire gli obiettivi e i processi da attuare per raggiungerli. Fra gli obiettivi importanti, oltre alla capacità di accoglienza e di ascolto, allo stare bene, (che più che obiettivi sono dei prerequisiti),ritroviamo il potenziamento delle competenze europee, la trasversalità della competenza digitale (che in un liceo scientifico, secondo me, è fondamentale e va implementata), l’integrazione fra i saperi e l’inclusione di chi è più fragile, oltre ovviamente alla valorizzazione di chi è eccellente. Questi, secondo me, sono in generale gli obiettivi a cui mirare anche attivando nuovi progetti nel prossimo triennio nella scuola. Ovviamente, tutto ciò in continuità con quello che già c’è stato ed è stato raggiunto in questa direzione. Aggiungo anche che questi principali obiettivi andranno ad intersecare il compimento, negli imminenti anni, del primo secolo di storia del liceo, con tutto quello che il centenario comporterà, fra eventi, occasioni formative e celebrazioni istituzionali. Quindi i primi 100 anni del liceo “Leonardo da Vinci” costituiranno, anche sul piano simbolico, un ritorno alla scuola pre-Covid e una sorta di un ritorno al futuro attraverso il passato e la sua memoria. 

A proposito del discorso Covid. Come ha affrontato questo periodo difficile sia dal punto di vista personale sia ovviamente a livello lavorativo, essendo lei stata la preside di varie scuole? 

A livello lavorativo tutta la prima fase del lockdown 2020 è stato un tunnel pieno di ostacoli. Ostacoli nuovi, imprevedibili, disseminati sulla strada, già molto complicata dalla difficoltà della gestione di una qualsiasi scuola. A posteriori ho imparato alcune cose che non avrei mai saputo fare, costretta dalla situazione come tanti. Complessivamente è stato un periodo di tensioni e burocrazia al limite del tollerabile, ma anche di scoperta, nell’emergenza, di una solidarietà forte con alcuni colleghi e con la comunità scolastica in generale. Dal punto di vista personale ho preso molta più consapevolezza della nostra complessiva fragilità e molta fiducia nella scienza e nella sua capacità di affrontare i problemi dell’umanità, sebbene talora i pareri discordi o contrastanti di alcuni esperti mi abbiano disorientato (come credo tanti). A livello personale in famiglia abbiamo retto bene. Nonostante per tutti sia stata una grande fatica questo periodo, tutto sommato pensavo molto peggio. 

Collegato a questo: il concetto della DAD. Come è stato secondo lei il processo per arrivare a una DAD fatta con cura, in modo da sostituire una lezione in presenza? Si potrebbe riutilizzare magari in altri modi? Quali sono i suoi pensieri su questo argomento? 

Penso che ci siano aspetti positivi della DAD. In sostanza, la possibilità in condizioni di necessità o impedimento di seguire la scuola, di mantenere un contatto e di partecipare in qualche modo alla didattica. Ovviamente le lezioni in presenza e le relazioni dirette tra le persone sono insostituibili se si vuole parlare di scuola. Anche se siamo immersi nell’era digitale e le possibilità tecniche sostitutive sembrano infinite, c’è tanto di umanamente insostituibile e di vitale in uno sguardo fra i compagni di classe, in un viaggio di istruzione insieme e anche in un abbraccio dopo un’interrogazione. Tutto questo fa scuola come le migliori ore di didattica. Per cui è insostituibile, secondo me, la didattica in presenza. Per quanto riguarda se sia o meno un metodo riutilizzabile anche in una situazione di completa sicurezza, sostengo che integrare la didattica in presenza con la didattica a distanza potrebbe essere utile anche in altre circostanze, purché si tratti di un’integrazione e non di una sostituzione. Penso a percorsi di approfondimento, di potenziamento o di recupero mirato, magari anche per chi ha delle fragilità, alternato a momenti in presenza. A tutto questo si aggiunge la possibilità di collegamenti a distanza con realtà molto lontane Penso ai rapporti con le università straniere o anche la possibilità di raggiungere altre scuole a distanza, che potrebbe essere un valore aggiunto. Però ci terrei a precisare che la DAD deve essere comunque diversa dalla didattica in presenza oltre che non sostitutiva, e quindi solo integrativa. Quando si svolge didattica a distanza non si dovrebbe riproporre il modello frontale preponderante della didattica in presenza, in cui ci vorrebbe maggiore laboratorialità. A maggior ragione a distanza si devono attivare altre strategie proprio attraverso l’utilizzazione di App, di strumenti digitali, per renderla una lezione motivante, partecipativa e non solo trasmissiva (non avendo il valore aggiunto dato dalla presenza). Attraverso lo schermo essere solo trasmissivi è una modalità che può essere controproducente, per cui occorre attivare l’interazione a distanza e fornire gli strumenti digitali anche agli studenti per poter rielaborare i contenuti e favorire una relazione di insegnamento-apprendimento che non sia solo unidirezionale. Questo vale anche per la didattica in presenza, ma per la didattica a distanza, soprattutto se quotidiana, diventa fondamentale.

La preside dott.sa Annalisa Savino

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