“La donna è mobile, qual piuma al vento, muta d’accento e di pensiero…” chi non ha sentito almeno una volta nella sua vita questa aria cantata dal Duca di Mantova nel “Rigoletto” di Verdi; forse non il momento più significativo dell’opera, ma senza dubbio quello più celebre.
La sua diffusione nella cultura di massa la dice lunga sul successo e sull’importanza storica dell’intera opera, una tragedia quasi rivoluzionaria se vogliamo: rivoluzionaria perché polemica contro i vizi della corte, su cui Verdi, riprendendo il “Le Roi s’amuse” di Victor Hugo, si scaglia apertamente; o rivoluzionaria per il suo stesso protagonista che dà anche il nome all’opera, protagonista che mai prima di allora in una tragedia era stato un essere brutto e deforme.
L’armonia del Rigoletto è ritornata a Firenze, debuttando il 19 ottobre con la prima al teatro del Maggio Musicale Fiorentino, con le seguenti date che sono previste per il 22 e il 24 ottobre. In realtà, lo spettacolo avrebbe dovuto andare in scena a febbraio, ma vi fu una sola rappresentazione “a porte chiuse” il 25 con qualche fortunato giornalista, per poi passare sulla piattaforma ITSART.
La stagione lirica del Maggio è ricominciata con successo e sta fortunatamente procedendo a gonfie vele con il pubblico al 100%, e diciamocelo chiaramente: tutto questo ci mancava! Ci è mancato il teatro in questo anno e mezzo di buio, capace di farci sognare, appassionare, e di trasportarci lontano con la fantasia.
Il pubblico, seppur contento di tornare a teatro, sembra essersi però diseducato in questo ultimo anno. Rumori di bottiglie, voci, luci di telefoni o spettatori che si alzano in piedi durante le scene, sono solo alcuni degli esempi più eclatanti di questa maleducazione civica, che ha portato più volte gli altri spettatori a richiedere il silenzio e il ritorno all’ordine.
La performance degli interpreti è stata complessivamente molto buona, e un applauso assordante lo meritano sicuramente il tenore Piero Petti, che ha impersonato il Duca di Mantova, e soprattutto il baritono Amartuvshin Enkhbat, che ha interpretato Rigoletto con un’enfasi e un trasporto incredibili, e, grazie alla sua bellissima è impeccabile voce, ha saputo conferire al personaggio tutta quella drammaticità con cui Verdi lo aveva scritto nel lontano 1851 con l’aiuto del suo librettista Francesco Maria Piave. Tutta meritata quindi l’ovazione che gli ha riservato il pubblico a fine spettacolo.
La trama del Rigoletto è ben nota a tutti, e la parola chiave intorno a cui tutto si muove e Maledizione. E’ la maledizione che il vecchio Conte di Monterone, che cercava di rivendicare il macchiato onore della figlia, lancia a Rigoletto, dopo che questi lo aveva deriso.
Rigoletto ha una figlia, l’amata Gilda, unico tesoro che gli è rimasto al mondo; questa figlia viene però scambiata per la sua amante dai cortigiani, che per dispetto decidono di rapirla e di condurla nel letto del libertino Duca di Mantova, del quale, tra l’altro, Gilda si era innamorata sotto suo falso nome.
Appena scopre il fatto, Rigoletto si dispera e cerca vendetta assoldando il sicario prezzolato Sparafucile, al quale non viene però detto il suo vero obiettivo ma a cui vengono date solo alcune indicazioni. Supplicato dalla sorella innamorata del Duca, decide di non uccidere il suo vero obiettivo, ma di uccidere il primo uomo che varcherà la soglia del suo covo: neanche a farlo apposta quella persona si rivela essere Gilda, che quindi si sacrifica in nome del suo amore verso il Duca.
L’opera quindi si chiude con il dramma di Rigoletto che piange con il corpo di sua figlia tra le mani, urlando a gran voce “La Maledizione”, rievocando così il tema principale della vicenda, che non è mai scomparso ma che è sempre rimasto sullo sfondo.
La regia di Davide Livermore si è mossa partendo dalla trama originale rivisitando però alcune scene in una chiave più moderna, molto probabilmente per sensibilizzare giustamente il pubblico su temi a noi contemporanei come lo sfruttamento delle donne. In alcuni punti però le scelte di regia non sembravano armonizzarsi bene con la trama, non consentendo allo spettatore di seguire la vicenda con totale chiarezza. Soprattutto la seconda scena del primo atto, ambientata in una lavanderia con tanto di lavatrici moderne, invece che nella casa di Rigoletto, fa perdere un po’ di senso a quello che era il reale scopo della scena e non fa ben capire cosa stia succedendo di preciso: non si capisce benissimo infatti come la figlia Gilda venga rapita.
Sicuramente è nobile e degna di nota la scelta di sensibilizzare il pubblico con temi moderni e al giorno d’oggi ben noti, ma in alcuni punti, non moltissimi, questo processo sembra non essere felicemente riuscito.
Molto riuscita è invece la scelta del tono, molto più cupo rispetto al normale, una versione quasi gotica se vogliamo, come ci suggeriscono anche i filtri dei colori utilizzati durante le scene, soprattutto il nero e il rosso. Un’opera che tende quasi al dark per rimarcare con grande chiarezza la crudeltà dei vizi della corte, che non guardano in faccia nessuno, ma che pensano solo al proprio egoistico soddisfacimento, causando il più delle volte tragiche conseguenze.
L’orchestra del Maggio, diretta da Riccardo Frizza, non si smentisce mai e ci regala anche in questo caso un’esecuzione magistrale, grazie alla perfetta sintonia tra le famiglie strumentali, con la sottolineatura di sfumature inusuali e un trasporto drammatico che fa passare in secondo ordine alcune “cadute” nella strumentazione che sono del resto ancora tipiche del Verdi di questo periodo.
Uno spettacolo nel complesso molto ben riuscito insomma, che ci fa assaporare di nuovo le emozioni e la magia del teatro, di cui ci eravamo quasi tristemente dimenticati.
Non ci resta quindi che aspettare di vedere il prossimo spettacolo di questa interessante stagione lirica, sperando di rimanere entusiasti come è successo per questo.