Le strategie globali post-pandemia dei grandi blocchi economici si stanno concentrando sulla produzione di microprocessori. Ad oggi l’occidente è dipendente dai grandi stabilimenti industriali di Taiwan, Corea del Sud e Cina. Washington, Bruxelles e Pechino pronte a stanziare miliardi di dollari per rafforzare le rispettive capacità produttive.
L’indipendenza nella produzione di semiconduttori è tra i primi obbiettivi di Cina, Usa, Giappone ed Unione Europea: obbiettivo che (purtroppo) non sarà raggiunto.Per almeno avvicinarsi al traguardò però sono pronti finanziamenti di miliardi di dollari, sperando di ridurre almeno la dipendenza da Taiwan e Corea del Sud, fucine globali dei ricercati quadrati di silicio.
Con una altissima richiesta, a fronte di una offerta che fatica a recuperare i ritardi accumulati durante la pandemia e di un intero settore che ancora si lecca le ferite, sono diventati indispensabili per una vastissima serie di produzioni. Pensiamo agli elettrodomestici (come una lavatrice oppure ai più moderni frigoriferi), alle auto fino ad arrivare alle nuove fonti di energia e le reti infrastrutturali di nuova generazione.
I lockdown globali hanno colpito duramente gli impianti di produzione che hanno funzionato a ritmi ridotti mentre la richiesta di mezzi elettronici per lavorare o (a malincuore) studiare da casa saliva. I magazzini si sono svuotati. La ripresa economica innescata dopo il periodo nero che abbiamo vissuto ha moltiplicato gli ordini che fioccano da tutto il mondo ed i (pochi) big del settore non riescono a tenere il passo. La penuria ha acceso quindi la “guerra dei semiconduttori” e adesso si cerca di correre ai ripari per recuperare il tempo perduto. Il paragone lampante è la dipendenza dai combustibili fossili ma con una differenza tutt’ altro che rilevante: il petrolio rimane lì dove è, mentre i “giacimenti” di semiconduttori si possono, con il tempo ,costruire e ampliare. I giganti del tech come Google, Apple ed Amazon, che possono essere paragonate economicamente a vere e proprie nazioni, provano a risolvere da soli i problemi, i soldi per loro non sono un problema.
Il mercato dei chip è uno dei più globalizzati del mondo. I microprocessori vengono progettati ed ingegnerizzati in un paese, prodotti in un altro e poi montati e testati in un altro ancora. Questo porta come vantaggi una ottimizzazione dei costi, ma rende vulnerabili i singoli paesi. Nel corso del passato ventennio abbiamo assistito inermi ad una migrazione delle fabbriche da Ovest verso Est. La quota europea della produzione globale si è dimezzata, passando al 10%. Una discesa frutto delle delocalizzazioni delle aziende spinte da tassazioni minori e manodopera meno cara. Non se la passano meglio gli Stati Uniti, in un passato non molto remoto leader mondiale del settore, oggi con una misera fetta di mercato del 12% (25 anni fa era 37%!).
La Ceo di AMD Lisa Su ha parlato nel corso del Code Conference 2021 affrontando il tema dello shortage di semiconduttori, dando una previsione non certo rassicurante. Infatti in una intervista alla CNBC ha dichiarato: “la carenza di chip diventerà meno grave nella seconda metà del 2022“
La dirigente ha comunque osservato che “abbiamo sempre attraversato cicli di alti e bassi, in cui la domanda ha superato l’offerta, o viceversa”, ma “questa volta è diverso” per ragioni varie. Un ruolo importante l’ha avuto anche la pandemia, ha affermato Lisa Su, che “ha portato la domanda ad un nuovo livello”.
Ai molti che negli ultimi mesi hanno chiesto alle aziende di aprire nuovi impianti, la numero uno di AMD ha risposto dicendo che potrebbero volerci dai 18 ai 24 mesi per mettere su un nuovo impianto, e in alcuni casi anche di più. Ma investimenti di questo tipo sono iniziati un anno fa.
Non si tratta di una previsione ottimistica, ma in linea con quanto affermato anche dal CEO di NVIDIA, il quale aveva affermato che probabilmente lo shortage persisterà per tutto il 2022.
Uno dei settori più dipendenti dall’approvigionamento di semiconduttori è quello automobilistico, con le catene di montaggi di tutti i marchi che stanno registrando continui stop. Oggi i chip rappresentano circa il 4% del costo di una vettura. Nel 2030 secondo le previsioni del produttore tedesco Infineon il valore medio dei microprocessori montati su un’auto dovrebbe passare dagli attuali 170 dollari ad oltre 1200. Lo stesso tipo di discorso può essere fatto per gli smartphones, che con la diffusione del 5G necessiteranno di più microprocessori rispetto agli standard attuali.
Così le principali aziende delle quattro ruote stanno cercando di stringere accordi con i big del silicio. Nvidia di fatto è già pronta ad investire 8 miliardi di dollari per il potenziamento della divisione che si occupa di chip destinati alle quattro ruote.
La Commissione europea si è posta il fine di raddoppiare la produzione entro il 2030. Parte degli 800 miliardi di euro del Next Generation EU saranno infatti destinati a supporto del raggiungimento di questo traguardo, Il colosso statunitense Intel ha fiutato l’affare ed è pronto ad investire 80 miliardi di euro in Europa per l’apertura di nuovi stabilimenti che pagherebbero in buona parte i governi europei. Tra i possibili siti per l’insediamento c’è anche lo stabilimento di Mirafiori, nonostante Francia, Belgio e Olanda siano in vantaggio. La parola semiconduttori è menzionata anche nel nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza. Pnrr che andrebbe a stanziare circa 750 milioni di euro, noccioline rispetto ad altri paesi. Però il presidente del consiglio Mario Draghi intervenendo all’assemblea annuale di Confindustria ha annunciato un supplemento di circa 700 milioni affermando:“L’aumento delle vendite di elettronica e la crescente incidenza di queste componenti nell’industria automobilistica hanno provocato gravi carenze che non sono destinate a attenuarsi. L’importanza dei semiconduttori aumenterà infatti con la digitalizzazione e la mobilità elettrica. Il governo ha in programma importanti investimenti nella filiera microelettronica. Siamo impegnati a sostenere la ricerca e ad attrarre investimenti sul settore, perché le innovazioni sui semiconduttori possano provenire anche dall’Italia e dall’Europa”.
All’estero però di certo non restano a guardare. Nel 2020 la Cina ha speso circa 35 miliardi di dollari per sovvenzionare l’industria locale che rimane meno avanzata rispetto a quella taiwanese.
La Corea del Sud pianifica di investire 450 miliardi di dollari per rafforzare la sua posizione. Anche il colosso di casa Samsung ha già messo a bilancio investimenti per 116 miliardi di dollari da spendere entro il 2030 per aumentare la produttività. La Casa Bianca ha messo sul piatto 50 miliardi di dollari e la precedente amministrazione Trump si era assicurata un investimento di 12 miliardi da parte di Tsmc per creare un nuovo stabilimento in Arizona. Attenta a non alterare i delicati equilibri su cui prospera il gruppo di Taiwan ha annunciato nuovi impegni anche in Cina. Sempre in Arizona Intel pianifica di investire 20 miliardi di dollari. Cifre importanti ma l’autosufficienza è su un altro pianeta. Secondo una stima della Semiconductor Industry Association, tagliare qualsiasi legame con l’estero avrebbe per gli Usa un costo di 1.400 miliardi di dollari.