A quasi dieci giorni dalla presa di Kabul da parte delle truppe Talebane lo scenario Afghano risulta sempre più caotico e inafferrabile: il 17 agosto i nuovi padroni del paese hanno tenuto la loro prima conferenza stampa dove il portavoce dei futuri membri del governo, Zabihullah Mujahid, ha tentato di presentare al mondo il loro nuovo Emirato Islamico come più “progressista”.

Ha annunciato che non ci sarebbero state né ritorsioni né discriminazioni tra i civili, i media avrebbero avuto libertà di stampa, pur sempre nei limiti dell’osservazione dei valori dell’Islam, e un amnistia generale avrebbe permesso la transizione pacifica del potere. È stato addirittura promesso alle donne che avrebbero potuto avere ruoli nei settori dell’educazione e sanità, ma nei limiti della Sharia (la legge islamica) poiché “le donne sono musulmane e saranno quindi felici di vivere nella cornice della Sharia”.

Già da queste affermazioni le prime crepe nell’edificio sociale illusorio che hanno promesso di costruire si fanno sentire ed è inutile sottolineare come queste belle parole si siano dimostrate solo una ridicola facciata che sembra destinata a crollare: numerosi sono stati gli arresti mirati, le perquisizioni di case, uffici e sedi di organi di stampa, ricerche sui cellulari dei civili di materiale che possa essere usato per condanne per eresia o tradimento e infine esecuzioni, eventualmente anche riprese e condivise su internet. E nel caso qualcuno riesca a scappare dall’esecuzione capitale non sono rari i casi di ritorsione sulle famiglie.

Quale è quindi la reazione più logica? Il panico. A restare a Kabul la gente si sente chiusa in una trappola mortale. L’onda della folla terrorizzata si è infranta sui terminal dell’aeroporto, da cui passano solo i possessori di un visto di un altro paese, quando questo basta, e i militari o civili stranieri. Sono molte le azioni disperate che chi cerca di scappare porta avanti, come affidare la vita e il futuro del proprio figlio a qualcuno che non parla nemmeno la tua stessa lingua: a qualcuno che riesce a partire, a un’ONG, o magari a un soldato che si sporge oltre quel filo spinato che prima li separava dalla salvezza e ora li separa dalla cosa a cui tengono di più. Non importa dove vada o con chi vada, per loro ovunque è più sicuro dell’Afghanistan e questi genitori sono disposti a tutto pur di dare la minima speranza di un futuro migliore al proprio figlio.

Però i talebani non possono ancora ritenersi soddisfatti: per completare la loro conquista devono ancora prendersi il Panshir, una stretta valle a 150 chilometri da Kabul che al giorno d’oggi, come negli anni novanta, si sta opponendo alla nuova fazione dominante; e la resistenza è guidata da Ahmed Shan Massoud; leggendario nome dell’omonimo padre a suo tempo meglio noto come “il leone del Panshir” che aveva resistito efficacemente all’avanzata da una parte dei Talebani, dall’altra dei Sovietici.

E la tanto celebrata democrazia occidentale dove è? Il resto del mondo si sta ancora interrogando su come agire: da una parte Russia e Cina hanno già avuto rapporti diplomatici con i talebani, Josep Borell, alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri, pur non volendo riconoscere il governo che si formerà nelle prossime settimane ha commentato che il dialogo è necessario in quanto restano i vincitori della loro guerra. Dalla loro parte gli Stati Uniti sono più preoccupati per l’eredità che hanno lasciato agli “invasori”, attrezzatura militare che va dalle divise dei marines ad elicotteri da guerra e carri blindati della brigata Badri 313, e dal rischio sempre più opprimente del terrorismo con l’avvicinarsi del tetro anniversario dell’11 settembre. Preferiscono dunque aspettare una stretta collaborazione con i partner internazionali.

Siamo quindi tutti in attesa che venga annunciato il G20 e molti guardano con fiducia a Mario Draghi: la cancelliere Merkel è a fine mandato e Macron è in fase di elezioni. Resta solo il Presidente Draghi in una posizione abbastanza salda da poter presiedere il congresso dei capi di stato più importanti, mettendo così l’Italia in una posizione centrale della gestione della questione afghana.

Predire come si svilupperà la situazione è praticamente impossibile: nonostante la paura che nomi troppo temuti per essere nominati come ISIS e Al Qaeda possano tornare ad affacciarsi sullo scenario globale non devono farci ricadere sulla strada della violenza. I Talebani hanno preso senza grandi opposizioni quasi la totalità del paese ed ora stano lavorando alla formazione di un governo. Hanno tutti i diritti di instaurarlo, e l’unico tipo di intervento che l’Occidente può permettersi è la diplomazia per il riconoscimento quei diritti civili, in particolare di certe fasce di persone che al momento sembrano tutt’altro che scontati.

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