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LE PROTESI, DALL’ ANTICHITA’ AD OGGI: viaggio nella storia degli arti artificiali tra dura necessità e assurda vanità.

La nascita delle prime protesi si perde nella notte dei tempi e queste si sono evolute in continuazione fino ad oggi grazie a nuove idee e invenzioni. Per apprezzare l’evoluzione delle protesi dobbiamo fare un viaggio nel tempo e tornare fino alle prime dinastie Egizie (2750 a.C.) . Gli Egizi furono di fatto i primi veri e propri pionieri della tecnologia protesica. Le loro protesi erano molto grezze, fatte in fibra vegetale oppure in legno. La protesi più antica è quella di un alluce fatta in legno che fu ritrovata dagli archeologi su una mummia data tra il 950 ed il 710 a.C circa.

Da dove nasce l’esigenza di avere una protesi?

Sono due le risposte a questa domanda. La prima è per sostituire un arto perso a causa di un’ amputazione volontaria (nel caso qualcuno decidesse spontaneamente l’amputazione dell’arto per vari motivi, di solito, almeno si spera, di carattere sanitario). La seconda è a causa di una perdita involontaria (troncamento, strappo di un arto a causa di un macchinario oppure sotto operazione di un dottore per salvare il paziente in caso di una malattia che ne ha procurato la cancrena). Queste esigenze furono quelle primarie che mossero la ricerca verso la progettazione di protesi . Ma esiste anche un terzo motivo: per vanità. Sì esatto! Nell’antichità per risultare più belli venivano amputati arti, solitamente piccole parti di essi e venivano sostituiti con protesi decorate con materiali pregiati a fini puramente decorativi.

I principali inventori e costruttori di protesi furono i fabbri e gli artigiani, che erano grandi esperti nella lavorazione delle materie prime rendendo i nuovi arti comodi e funzionali; ad essi si aggiunsero in seguito i mastri orologiai che aggiunsero ingranaggi e molle.

Come si sono sviluppate le protesi nella storia ?

Nel Medioevo e nel Rinascimento la medicina protesica e la medicina classica fecero salti da gigante e si iniziò a produrre protesi sempre migliori. Solitamente le protesi venivano fatte di ferro, acciaio, rame o legno ed avevano (come quelle greco-romane) una funzione decorativa oltre che principalmente funzionale. Tra le protesi più significative dal punto di vista tecnologico e meccanico sono quelle del mercante tedesco Gotz Von Berlichingen (1508), caratterizzate da un’ alta complessità tecnologica. Le mani potevano essere controllate dall’arto controlaterale, quest’ultimo collegato ad una serie di cavi e molle sospeso con cinghie di cuoio che permettevano di muovere liberamente l’arto.

Chi è il padre delle protesi moderne ?

Strano a dirsi, ma il padre delle protesi moderne fu un barbiere, nonchè chirurgo dell’esercito francese Ambroise Parè, che introdusse le procedure di amputazione e di costruzione delle protesi per gli arti inferiori. Ambroise Parè inventò una protesi molto articolata, che comprendeva anche una parte superiore al ginocchio, la famosissima “gamba di legno”, con ginocchio articolato e piede in posizione fissa.

Essa aveva un blocco di controllo al ginocchio e altre caratteristiche tecniche che ancora oggi vengono utilizzate nei dispositivi moderni. Il suo lavoro dimostrò per la prima volta al mondo intero come avrebbe dovuto funzionare una protesi artificiale.

Un contributo altrettanto significativo lo diede Claude Lorrain, che fu un collega di Ambroise Parè. Claude Lorrain decise di alleggerire la protesi lasciando solo l’ endoscheletro della protesi in ferro e sostituendo il resto con cuoio, carta e colla.

Nel 1696, Pieter Verduyn sviluppò la prima protesi con articolazione del ginocchio, che sarebbe diventata il modello per gli attuali dispositivi.

Nel 1800 il londinese James Potts, costruì una protesi composta da una gamba in legno con ginocchio in acciaio e un piede articolato controllato da una serie di tendini tracciati dal ginocchio alla caviglia.

A queste nuove invenzione si aggiunsero anche nuove tecniche mediche di amputazione, come per esempio quella di Sir James Syme (1843) che inventò un nuovo metodo per amputare l’arto solo fino alla caviglia, in modo da sostituire solo il piede con una protesi e non tutta la gamba fino a metà coscia come si faceva precedentemente.

Nel 1846 Benjamin Palmer, per cercare di rendere i movimenti più naturali e pratici, inserì una serie di molle e tendini nella protesi. Un altro significativo contributo nel mondo della medicina protesica lo diede anche Douglas Bly nel 1858 che brevettò la gamba anatomica Bly Doctor’s.

Nel 1863 Dubois Parmler inventò una protesi avanzata con una presa di aspirazione al ginocchio ed a piede policentrico multi articolato. Più tardi nel 1868 Gustav Hermann suggerì l’uso dell’alluminio invece dell’acciaio, ottenendo così arti più leggeri e pratici. Tuttavia l’arto ausiliario più leggero sarebbe nato molto più avanti nel tempo, cioè nel 1912, quando un celebre aviatore inglese chiamato Marcel Desoutter perse sfortunatamente la gamba in un incidente aereo e con l’aiuto del fratello ingegnere Carlo realizzò la prima vera e propria protesi in alluminio.

Eh sì! Il tempo scorre e le innovazioni delle protesi corporee si sono succedute anno dopo anno grazie alla grande dedizione e alla ricerca di medici, artigiani e studiosi fino ad arrivare ai nostri giorni, dove possiamo trovare protesi che si avvicinano quasi perfettamente alla funzionalità dell’arto perduto. Un contributo importante lo hanno dato anche le innovazioni informatiche, come i chip ed i microprocessori che hanno perfezionato la funzionalità. Si è passati dall’ uso di materiali più allergenici, come il ferro ed il rame a quelli antiallergici, come il silicone ed il carbonio; le giunture ed i movimenti vengono migliorati e ottimizzati, senza trascurare il peso stesso della protesi. Tutt’ora le ricerche nel campo protesico vengono riccamente finanziate. Le protesi moderne si possono dividere in 2 tipi : quelle a pezzo unico e quelle componibili. Quelle a pezzo unico sono spesso consigliate ad adulti, mentre ai giovani sono consigliate quelle componibili. Per protesi componibili si intende che, al posto di prendere la protesi del braccio con mano incorporata (pezzo unico), si comprano separatamente braccio e mano e si assemblano. Potremmo ovviamente pensare: ” Saranno compatibili le due protesi? Ci sono degli attacchi universali come nei computer?”. Ebbene no! Ogni protesi viene realizzata in modo da rispecchiare le comodità e le richieste dell’amputato e quindi sono personalizzate su misura per colui che le compra. Ovviamente i materiali che vengono usati nella realizzazione delle protesi sono il carbonio o il titanio per lo scheletro ed il silicone per il rivestimento, in modo tale da rendere la protesi più leggera e pratica.

Perché vengono utilizzati proprio questi materiali?

I materiali che hanno usato fino all’età moderna (ferro, rame alluminio ecc..) hanno la peculiarità di essere potenzialmente molto allergenici, e quindi dare fastidio all’organismo, mentre i materiali odierni (carbonio, titanio e silicone) hanno la peculiarità di essere anallergici (anche se il silicone non è totalmente anallergico, ma si possono verificare percentuale minime di intolleranza) e sono anche molto igienici, indistruttibili, flessibili e leggerissimi. Inoltre il silicone è uno dei materiali che meglio rende a livello estetico . Per evitare che al paziente vengano messe protesi che possono scaturire eventuali reazioni allergiche, si rende necessario eseguire delle analisi molto accurate sul paziente per prevenire la maggior parte dei rischi.

Come si evolveranno le protesi nel prossimo futuro?

È importante sapere che, nell’ambito delle protesi ortopediche, la ricerca sta facendo passi da gigante e va detto con orgoglio, che l’Italia si colloca tra le nazioni più importanti per i progressi ed i risultati ottenuti. Il progetto così ambizioso da sembrare quasi fantascientifico, mira a costruire arti artificiali sensibili. Ciò significa, che si sperimentano arti artificiali con ottimi risultati che, grazie a una tecnologia all’avanguardia, riescono a muoversi come quelli naturali, cioè come se fossero manovrati dal cervello e non dal moncone muscolare (parte del muscolo ancora attaccata all’amputato). Nel caso di arti artificiali tradizionali per eseguire un movimento naturale e semplice si deve pensare al movimento di una parte dell’arto o dell’arto stesso e quest’ultima utilizzerà  determinati meccanismi per compiere il movimento desiderato.

Alcune di queste protesi sono già in sperimentazione e stanno dando risultati che vanno oltre le migliori aspettative e ben oltre ogni immaginazione.

Un esempio molto significativo è quello dato dell’ospedale San Raffaele di Roma, il quale detiene l’eccellenza mondiale in questo campo dove si sta sperimentando l’impiego di protesi totali. Si tratta di una tuta, da indossare su tutto il corpo che permetterebbe al paziente con gravi disabilità motorie generalizzate di riacquistare la fluidità di movimento. Un prodotto del genere potrebbe essere qualcosa di sbalorditivo in campo neuro-motorio per riabilitare pazienti con gravi malattie neuro-degenerative come la sclerosi multipla.

In Italia ogni anno circa 4 abitanti su centomila subiscono traumi così gravi da determinare l’amputazione di una mano o di parte dell’avambraccio e in molti casi viene reimpiantato l’arto stesso. Purtroppo non sempre è possibile. Si deve ricorrere così a un arto artificiale che negli ultimi anni, da semplice “sostituto inerte” o quasi, si sta trasformando in una vera e propria “mano bionica” grazie ai progressi della chirurgia plastica, della bioingegneria e della robotica.

Da una collaborazione tra l’UOC di Chirurgia plastica di Padova diretta dal prof. Franco Bassetto, il prof. Nicola Petrone del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova, il gruppo di ricerca dell’Università di Scienze applicate della Svizzera Occidentale coordinato dal dott. Manfredo Atzori e dal prof. Henning Müller, Play Cast Srl e Dynatec Studio nasce il progetto di ricerca “Pro Hand“, finanziato dalla fondazione svizzera Hasler, che verte su due progetti “NinaPro” e “MeganePro” i quali mettono in evidenza come i muscoli che muovono la mano, ancora presenti nell’avambraccio, si contraggono sollecitati dallo stimolo cerebrale del movimento. Gli impulsi elettrici emessi sono registrati tramite sensori e utilizzati per innescare i movimenti della protesi .

In questo modo l’amputazione effettuata con metodologia, permetta il più possibile la conservazione dei gruppi muscolari, per poter creare il miglior cuscinetto funzionale all’impianto protesico. Con tale lavoro la robotica Padovana ha raggiunto prestazioni significative con tecnologie e costi accessibili. Oggi avere una protesi non è più un sogno irraggiungibile, ma una realtà nella quale molti amputati possono recuperare la loro abilità perduta. Le protesi mioelettriche oggi disponibili presentano dei limiti nell’adattabilità all’utente e nella difficoltà di controllo della protesi. I ricercatori italiani e svizzeri stanno cercando di risolvere questi problemi usando la tecnologia della scansione e della stampa 3D delle protesi, permettendo di abbassare anche i loro costi. Un altro limite si presenta nella presa e nella diversità dei movimenti possibili e per questo la Bio-tecnologia sta studiando come poter implementare nella protesi fino a ben 36 movimenti fluidi e naturali, oltre che il senso del tatto. A quest’ultimo progetto si aggiungono anche gli studi e le innovazioni portate avanti dall’istituto Italiano di Tecnologia, che si pone come obbiettivo di riprodurre un vero e proprio arto bionico, dove si fondono biologia e meccanica. Il progetto “Natural Bionics” è un’iniziativa che riunisce i ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dell’Imperial College di Londra e della Medical University di Vienna, che hanno appena convinto l’European Research Council a finanziare l’impresa con un bando da 10milioni di euro per i prossimi 6 anni.

Al giorno d’oggi le migliori protesi riescono a riprodurre solo un numero limitato 4-5 gradi di libertà, così come racconta il professore di robotica dell’università di Pisa Antonio Bicchi:

Una mano è innervata da circa 350 mila fibre nervose, di cui la stragrande maggioranza serve a trasmettere informazioni sensoriali al cervello. Ed è evidente la complessità intrinseca in un tale sistema, e la difficoltà di riuscire a ottenere e trasmettere informazioni a una tale quantità di nervi utilizzando un piccolo numero di elettrodi o di sensori”.

Si tratta di collegare un dispositivo meccanico, la protesi appunto, con il sistema nervoso dell’uomo, eseguendo una via completamente differente: re-innervare le fibre nervose dell’arto amputato in un impianto di pelle prelevato dal corpo del paziente così che queste si reinnestino nei loro recettori naturali e riprendano a trasmettere informazioni al sistema nervoso attraverso il “manunclus” che registra questi imput e li ritrasmette successivamente alla protesi.

Secondo Bicchi bisognerà per primo decodificare i segnali nervosi che arrivano al monunculus per trasformarli in comandi da impartire all’arto artificiale, e viceversa e trovare una serie di algoritmi di analisi estremamente avanzati con lo scopo di riuscire a interpretare i segnali che raggiungono il manunculus, per ricostruire le intenzioni motorie del paziente a partire dai segnali nervosi che invia il cervello, così da poterle comunicare alla mano artificiale. In seguito sarà la volta di studiare un sistema per permettere all’arto artificiale di comunicare informazioni tattili al sistema nervoso.

Secondo la visione ottimistica di Bicchi con la relizzazione di tale progetto arriveremo ad ottenere una nuova mano bionica in circa 6 anni, infatti lui stesso dice che:

Il nostro obiettivo è quello di concludere il progetto tra sei anni con almeno un paziente a cui sia stata impiantata la nuova mano bionica e uno con una protesi per un arto inferiore, ma si tratta di un obbiettivo minimo, e speriamo di fare molto di più. In ogni caso si tratta di un progetto molto ambizioso, che se darà i risultati sperati avrà enormi ricadute tecnologiche e scientifiche, e potrebbe aprire le porte a una generazione completamente nuova di arti prostetici realmente bionici”.

La realizzazione di tale progetto esprime l’interazione bio-meccanica al fine di produrre protesi utili per ridurre le barriere che delimitano l’agire dell’uomo nella vita quotidiana migliorandone il livello qualitativo di soggetti che sfortunatamente si ritrovano in condizioni sfavorevoli di disabilità.

(sitografia:

https://www.doveecomemicuro.it/enciclopedia/prestazioni/arti-artificiali

www.insalutenews.it

ed altri documenti dell’istituto medico S. Raffaele di Roma)

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