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Strage di Capaci, 29 anni dopo

Perché?

Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici, Rosario Livatino, Carlo Alberto Dalla Chiesa e tanti altri. Il destino ineluttabile dei giusti? No e mai lo dovrà essere. Chi continuerà a combattere la mafia non lo dovrà fare con la convinzione di doversi sacrificare ma con la certezza di poter vincere una guerra che è durata e sta durando fin troppo.

Il Maxiprocesso, con il suo pool antimafia, aveva decapitato Cosa Nostra: 19 ergastoli e 2665 anni di reclusione. Le pene furono tutte confermate in Cassazione il 30 gennaio 1992.

29 anni da quel maledetto 23 maggio; è fissa in noi un’immagine. Il cartello autostradale che segna l’uscita di Capaci. Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani.

Da lì in poi le stragi furono compiute con l’obiettivo di far inginocchiare lo Stato, di fargli abbassare la testa, di umiliarlo, facendolo scendere al livello di una criminalità che sembrava non conoscere barriere. Ma quando si lancia uno sguardo al mondo da così in basso, il confine tra chi dovrebbe combattere e chi dovrebbe essere combattuto è sempre più labile. La trattativa Stato-mafia ci fu. Ma non si può e non si deve parlare di Stato, ma di apparati dello Stato, deviati. Venne instaurata nei giorni che separano la morte di Falcone da quella di Borsellino. Le stragi degli anni successivi furono il risultato di questo assurdo dialogo. Un dialogo? Non sembra possibile che dopo le morti di uomini, esempi e pilastri della giustizia come la si deve intendere, il muro contro muro sia sembrato inefficace, quasi improduttivo. Meglio aprire un canale di comunicazione, per far ammalare anche lo Stato.

Il 23 maggio, con la Giornata della Legalità, si ricordano tutte le vittime di mafia. Le celebrazioni hanno preso il via dalla banchina del Porto di Palermo, senza l’attracco della Nave della Legalità, a causa dell’emergenza sanitaria.

Si sentono le voci e le emozioni del Maxiprocesso grazie alla cerimonia istituzionale nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, il luogo del grande scacco alla mafia. Quest’anno Di cosa siamo Capaci è la frase simbolo scelta per l’iniziativa Palermo chiama Italia. Presenti, tra gli altri, il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, tre scuole italiane, Maria Falcone, sorella del magistrato e presidente della Fondazione Falcone e il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il discorso del Capo dello Stato ha posto l’accento sull’odierna figura della Magistratura.

A figure di magistrati come loro l’autorità civile guarda con riconoscenza, li guarda come lezioni che consentono di nutrire fiducia nella giustizia amministrata nel nome del popolo italiano. In direzione contraria sentimenti di contrapposizione, contese, divisioni, polemiche all’interno della Magistratura minano il prestigio e l’autorevolezza dell’ordine giudiziario. Questi devono risiedere nella coscienza dei cittadini; anche il solo dubbio che la giustizia possa non essere sempre esercitata esclusivamente in base alla legge provoca turbamento; se la Magistratura perdesse credibilità agli occhi della pubblica opinione si indebolirebbe anche la lotta al crimine e alla mafia.

Falcone e Borsellino. Due amici. Due magistrati. Due eroi. Eroi che hanno lasciato una granitica eredità di valori.

Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene. Paolo Borsellino

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