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Le interviste del Leo 40: Isabella Becherucci, italianista. Manzoni e la censura, una interessante avventura d’archivio.

Isabella Becherucci Castoldi è professoressa di Letteratura italiana presso l’Università Europea di Roma; il suo principale ambito di ricerca, oltre alla filologia e l’opera romanzesca di Italo Svevo, è la letteratura italiana fra Sette e Ottocento, soprattutto Manzoni, sul quale ha scritto un saggio, uscito lo scorso anno; il titolo è: “Imprimatur, si stampi Manzoni.

È un’opera incentrata sul percorso compiuto da Alessandro Manzoni attraverso la stesura delle due tragedie Il “conte di Carmagnola” e “Adelchi“, con al centro l’importante episodio della composizione e diffusione dell’ode funebre “Il Cinque Maggio“. Parte integrante della vicenda è inevitabilmente il contesto storico in cui essa si sviluppa: la severa censura imposta dalla dominazione austriaca alle opere di Manzoni è frutto del sistema repressivo che porterà alla condanna per tradimento o alla fuga preventiva di tanti suoi compagni. Il libro tratta, insomma, del Manzoni e della sua epoca, attingendo a piene mani dai documenti storici, e mira alla ricostruzione dei rapporti di amicizia, collaborazione o semplice stima reciproca intrattenuti dall’autore con gli intellettuali europei del suo tempo. Il quadro storico e biografico è arricchito da descrizioni di vita famigliare, che fotografano il grande scrittore anche nella sua dimensione privata, alle prese con i problemi pratici della gestione del suo patrimonio e dei numerosi figli. Affiancano il côtè più intimo del protagonista la personalità dominante della madre Giulia Beccaria e quella più remissiva della giovane sposa, alleate nell’accudire quell’uomo tanto strano, il cui genio proteggono con grande impegno. Completa, infine, il ritratto a tutto tondo il complesso rapporto col direttore spirituale Luigi Tosi, la cui invadente presenza sembra infastidire l’amore congenito del Manzoni per la sua libertà interiore. L’obiettivo principale del saggio, proposto in una forma narrativa che faciliti il lettore non specialista, è quello di approfondire e far conoscere il coinvolgimento del Manzoni nel Risorgimento, le sue frequentazioni, le radici profonde della sua opera di maggiore successo: ne risulta un’immagine ben diversa da quella fino a oggi diffusa specialmente nel mondo della scuola.

Professoressa, a cosa risale il suo interesse per Manzoni e come lo ha sviluppato nel tempo?

Io mi sono occupata di Manzoni partendo dagli studi filologici perché il mio maestro è Domenico De Robertis, di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita, il 21, e anche il decenario della morte ed è un filologo conosciuto soprattutto per gli studi che ha fatto sulle Rime di Dante e sulla loro tradizione. Ha lavorato quarant’anni su tutti i grandi canzonieri e ha ricostruito un ordine di queste Rime, diverso da quello vulgato, quindi lavori lunghissimi. La scuola era quella, quindi mi fu assegnata la tesi sullo scritto e la composizione dell’Adelchi e quindi per anni ho lavorato esaminando i documenti, uno dopo l’altro. Alla saggistica sono arrivata poi da ultimo, adesso, perché mi interessava fare conoscere i risultati di questi studi anche a un pubblico non specialistico e vedevo che da quest’analisi si poteva arrivare molto più in là nella conoscenza dell’autore. Quindi sono arrivata alla decisione che questi lavori tecnici che sono stati rappresentati in quelle che si chiamano “Edizioni Critiche”, non era giusto che fossero così ristretti a un minuto circolo di persone, ma dovevano avere una ricaduta anche nella gente, perché il divario che c’è tutt’ora fra l’Accademia e il pubblico colto, è enorme. L’Accademia ormai è un circuito chiuso, virtuale, in cui si parla tra quattro persone ed era quindi venuto la necessità di buttare giù questa barriera. Dopo la saggistica adesso sulla tela c’è già un altro lavoro molto grosso che è un vero e proprio romanzo, mi sono fatta coraggio e mi sono messa a raccontare in un’altra maniera, imboccando la via della narrativa, per una vicenda che io trovo esemplare.

Il suo saggio “Imprimatur. Si stampi Manzoni” allude chiaramente al tormentato rapporto con la censura austrica; quale è stato, dunque, il rapporto tra Manzoni ed il potere?

In questo saggio di prematura ho “pigiato il pedale” su questo sottofondo di oppressione governativa in cui vivevano i milanesi in quel momento, perché inaspettatamente si era potuto pensare di poter ripetersi l’epoca di Maria Teresa e Giuseppe II con delle riforme illuminate. Fu una delusione molto forte quando si scoprì che l’indagatore Francesco I era tutt’altro: era ottuso, bigotto e governava in senso assoluto, manovrato dal suo cancelliere Metternich. Ora, Manzoni di natura è sempre stato un ribelle, una persona che teneva moltissimo alla sua libertà, tant’è vero che il suo esordio, il primo componimento che ha circolato di lui quindicenne, non a caso si chiama Il trionfo della libertà: è una persona che ha sempre difeso a spada tratta la sua libertà interiore, di pensiero e di espressione. Per cui si è trovato a un braccio di ferro molto forte quando ha visto che la libertà non c’era più. Ha cercato di evadere, è andato in Francia, ha fatto vari tentativi di evasione; ma poi si è accorto che non è che nel resto di Europa si trovasse meglio: la Restaurazione riguardava tutta l’Europa, e quindi ha deciso di corazzarsi e combattere con le sue possibilità nella sua patria. È rientrato e si è impegnato fortemente per riuscire, perché ciascuno poi deve fare i conti con la propria vita e con la propria realtà: era quella la sua realtà, ma ha cercato comunque di poter far entrare la sua proposta di ribellione, perché sostanzialmente era quella la sua proposta.

Il suo libro parla molto della biografia e degli affetti dello scrittore. Una certa tradizione lo “dipinge” come un personaggio chiuso ed ombroso anche nell’ambito familiare. Lei che ha “vissuto” a contatto con lui attraverso i suoi documenti che impressione ha avuto dell’uomo Manzoni?

Io posso rispondere che sono nel “contingente” della vita perché quando cominciai a lavorare su Manzoni non sapevo di avere davanti a me un’occasione unica che altri non hanno e che è stata la conoscenza di lui, tramite una parentela lontana con i proprietari della villa privata in campagna di Brusuglio, a Cormano, nella periferia di Milano; Manzoni addirittura lo faceva a piedi: dalla casa cittadina alla casa di campagna. Questa villa meravigliosa è arrivata in eredità alla madre di Manzoni, grazie alla relazione che ha avuto col conte Imbonati di Milano, una delle prime famiglie aristocratiche di Milano. Proprio in questa villa nascono i Promessi Sposi. Ora questa villa è privata, i proprietari sono lontani parenti mi avevano avvicinato come manzonista e abbiamo stabilito una vera “relazione” fiduciaria, infatti io soggiorno spesso in questo posto privilegiato e ho avuto l’occasione di poter vivere dentro gli ambienti intelligentemente preservati, che sono una sorgente inesauribile di suggestioni, di informazioni, di possibilità, di racconti perché dopo Manzoni la villa ha continuato a essere di proprietà privata e le sue mura celano delle storie molto interessanti, molto belle ed è ricca di documentazione, oltre al suo fascino antico che è rimasto intatto. Quindi questo è quello che mi ha poi di fare “quel passo in più” che non credo sia dato a tutti di poter fare. Questo mio interesse è partito dalla sua opera e dalle cose che ha scritto che sono veramente straordinarie, siamo veramente difronte ad uno dei geni della nostra letteratura in ciascuno dei generi, che ha trattato, lui è arrivato a dei risultati insuperabili; questa ricchezza di corde, che lui ha nella sua vocazione artistica, è riflessa nella sua biografia, negli eventi, nei personaggi che lui ha frequentato, nella famiglia che ha avuto, nei numerosi figli, cioè è tutto un mondo che è estremamente interessante, ricco e pieno di suggestioni, che rappresentano un po’ questo mondo tragicomico e allegro che è la famiglia Manzoni. Tempo fa fu lanciato un romanzo di Natalia Ginzburg “La famiglia Manzoni”, che ha fatto tutte le infinite possibilità che c’erano in questa famiglia così vivace, così numerosa, così piena di eventi, di personaggi tanto particolari. Naturalmente il libro è un libro che non approfondisce molto, perché si ferma ai documenti epistolari ed aneddoti. Manca uno studio approfondito dell’opera, perché tutto questo si invera dentro l’opera di Manzoni, che vive e palpita di questa sua vita: basta prendere Fermo e Lucia, ci sono numerosi riferimenti non rilevati ancora dalla critica, ai figli,  agli amici, a tutto un parlare e ammiccare a questa sua vita quotidiana che dentro il testo palpita, ma la critica letteraria si è spesso limitata a sottolineare le fonti letterarie.

Il suo libro è stato selezionato per un importante premio letterario, con quali motivazioni? Quali sono le sue aspettative?

Il libro ha avuto la sfortuna di uscire all’inizio del covid, quindi la casa editrice, che è Marsilio, che è veneziana, penso che si sia trovata in una situazione drammatica e i suoi impiegati siano in cassa integrazione, per cui il libro non è stato seguito, né appoggiato, né spinto, né promosso. Però i libri sono come un biglietto affidato a una bottiglia, quando sono in mare, navigano, se il mare è contrario, viaggia più lentamente però prima o poi se la bottiglia è buona e il messaggio dentro c’è, vanno. Quindi semplicemente il percorso è stato più rallentato, d’altra parte un saggio non è come un romanzo, che se non viene venduto i primi tre mesi, non lo vendi più; un saggio è una cosa che come il vino, se è buono invecchia bene e non perde di attualità, quindi va bene la collana dei saggi che lo individua come un prodotto che chiede il suo tempo. Per mia iniziativa visto che mi sono trovata così abbandonata, ho iscritto a due premi ed entrambi hanno risposto abbastanza bene. Il primo è già concluso ed è il famoso Premio Internazionale della città di Como e sono stata selezionata tra i quindici finalisti ma poi non ho vinto, hanno vinto persone più conosciute e con lavori meno specialistici. Poi mi sono iscritta a un altro premio che aveva un’interessante dicitura che era “oltre il romanzo dentro la storia”, il Premio Carlo D’Asburgo, e sono tra gli otto finalisti, per cui vedremo come andrà, perché non era stato concepito per fare questo tipo di concorsi.

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