Ormai da un anno a questa parte non si fa altro che parlare di questo maledettissimo Covid; comprensibile, vista la portata mondiale di questa pandemia; però vengono anche trascurati alcuni aspetti quantomeno sottovalutati del nostro Paese e non solo. Uno tra questi, appunto, è proprio la disoccupazione giovanile.
Secondo i dati raccolti dal rapporto ISTAT sul livello di istruzione in Italia, diffuso nel luglio 2020 e rivisitato dal Corriere della Sera, il tasso di inattività dei giovani tra i 15 e i 29 anni nel 2019 è stato del 22,2%, coinvolgendo circa 2 milioni di persone. Rispetto all’anno precedente, la situazione sta migliorando e il numero di giovani disoccupati è diminuito dell’1,2% circa. Purtroppo però, con l’arrivo della crisi del coronavirus, la situazione dovrebbe essere peggiorata e non poco durante il 2020; come se non bastasse la situazione per quanto riguarda i ragazzi tra i 15 ed i 24 anni è peggiorata, infatti in Italia il tasso di disoccupazione in questa fascia di età ha superato il 30%.
Considerando proprio quest’ultima fascia in Europa la disoccupazione ammonta al 15% circa, tra i paesi europei l’Italia può “vantare” di essere sul gradino più basso del podio con ben il 31% di ragazzi che non studiano e non lavorano, peggio solo Grecia (40%) e Spagna (33%). Mentre se si esamina la fascia tra i 15 e i 29 anni la percentuale di disoccupazione europea è del 12/13 %.
Queste mostruose statistiche italiane purtroppo rispecchiano in pieno la critica situazione italiana, da una parte il non saper valorizzare i nostri talenti, non dando loro la possibilità di esprimere al massimo le proprie potenzialità, dall’altra però anche la mancanza di volontà e di sacrificio da parte di alcuni ragazzi che preferiscono stare a casa ed essere mantenuti dai genitori, invece che andare a sporcarsi le mani ed a sudare per portare a casa un proprio stipendio. Questi dati vergognosi rappresentano anche il crescente numero di ragazzi che lavorano a nero oppure si danno alla criminalità organizzata finendo per essere pedine di un immenso mercato nero, basta pensare che in Italia si stima che in un anno ci sia un “giro di affari” non esattamente puliti tra i 100 e i 150 miliardi di euro; ¹e sono dati del 2017!
Invece se si considera la situazione italiana di disoccupazione della fascia di età standard (19-34 anni) della popolazione giovanile, si evidenziano ulteriori anomalie. Infatti sarebbe lecito pensare che chi ci sia una percentuale maggiore di disoccupati con un basso livello di istruzione, purtroppo la differenza tra i disoccupati con solo la licenza media(27%) e i diplomati (24%) è solo del 3%. Non solo, l’Italia è l’unico Paese in Europa dove il tasso di disoccupazione dei laureati è superiore a quello dei diplomati o anche di quelli con diploma di scuola superiore, difatti ben 4 laureati su 10 sono disoccupati o con un lavoro poco gratificante e che non rispecchi il titolo di studio conseguito.²
Questo dato purtroppo è l’esempio lampante di come in Italia non ci siano progetti, iniziative e fondi da investire nei giovani e nelle loro capacità, non c’è da stupirsi se ogni anno assistiamo ad una corposa “fuga di cervelli” nella quale tanti laureati preferiscono andare all’estero, dove sicuramente hanno più possibilità economiche di poter mettere in mostra il proprio talento e di fare il lavoro per cui hanno studiato.
Uno dei settori nel quale paradossalmente si trova più difficilmente qua in Italia è quello dell’archeologia, se uno ci pensa bene sembra un contro senso, un Paese ricco di storia e beni cultura come il nostro non è capace di investire in un qualcosa di bellissimo e che dovrebbe essere alla base di una nazione come l’Italia. Di questo ce ne ha parlato Leonardo Farneti, archeologo di Roma, che ringraziamo di averci concesso un’intervista, nella quale ci ha raccontato la sua esperienza personale proprio in questo ambito.
Quali studi hai seguito e in cosa ti sei laureato? Hai avuto difficoltà a trovare lavoro subito dopo la laurea?
Mi sono diplomato ad un liceo classico privato di Roma, ho sempre avuto la passione per l’archeologia, infatti ho conseguito, prima una triennale e poi una magistrale presso l’Università della Sapienza, una laurea in Scienze Archeologiche nel 2013, dopo di ché mi sono specializzato, sempre alla Sapienza, in Archeologia a gennaio 2020. Subito dopo la laurea in realtà non è stato facilissimo trovare lavoro, anche se secondo me il fatto che un archeologo non trovi lavoro è qualcosa di assurdo ed inconcepibile, visto l’immenso patrimonio di cui disponiamo; ho dovuto accettare paghe veramente minime, per esempio impieghi di due settimane a 2,50 euro l’ora, facendo comunque un lavoro pesante e faticoso, come quello di scavo; finché non sono entrato nella scuola di specializzazione non ho trovato un lavoro vero e proprio. All’inizio di questa specializzazione ho avuto la fortuna di fare esperienze di scavo per diversi anni in Molise presso il Santuario di Pietrabbondante, sotto la direzione del professor Adriano Regina, che è stato anche il Sovrintendente di Roma, inoltre ho fatto molte esperienze differenti che hanno contribuito a formare il mio curriculum e per le quali avevo studiato.
Secondo te, come mai un archeologo ha tanta difficoltà a trovare lavoro in Italia? Invece, all’estero per gli archeologi com’è la situazione? Hai mai pensato di lasciare l’Italia?
Questa è una domanda che ci facciamo da anni con i miei colleghi e con tutte le persone che lavorano nell’ambito dei beni culturali. Io credo che ci sia un po’ di distacco tra il settore pubblico che gestisce tutti gli scavi e tutte le società che effettuano scavi, non solo archeologici, ma anche necessari per la comunità. Noi privati dobbiamo spesso sottostare a delle condizioni lavorative veramente difficili e purtroppo questa situazione in Italia stia peggiorando, anche per colpa del coronavirus che ha messo alla prova le finanze di ditte anche importanti, visto che nel nostro paese soprattutto le varie classi politiche che si sono susseguite in questi anni, vedono l’archeologo come un personaggio “fuori dai tempi”, quasi “ottocentesco” o “cinematografico”, ma invece dietro al nostro lavoro c’è tanta passione, tanto studio e tanto duro lavoro, che spesso è utile alla società stessa. Se tutti noi riuscissimo a renderci conto di tutta la bellezza che ci circonda, potremmo lavorare tutti quanti e vivere delle vite serene, facendo il lavoro che ci piace e fornendo un servizio al pubblico incredibile in tutte le parti della nostra penisola. Purtroppo però nel mondo dell’archeologia si ragiona per regioni o addirittura per città, infatti non c’è una grande rete di archeologi nazionali che riesca a coordinarsi ed a far sentire la propria voce, per questo motivo non è facile far capire a chi ci governa quali siano le nostre esigenze.
All’estero ho molti contatti e conosco molti miei colleghi, che lavorano in Europa, dove ci sono delle condizioni lavorative migliori rispetto all’Italia, soprattutto dal punto di vista economico, però anche all’estero, sebbene ci sia meno burocrazia rispetto a noi, che è il maggior problema per gli scavi e non solo in Italia, hanno un po’ di difficoltà a trovare lavoro. Una cosa che mi fa veramente arrabbiare è pensare che all’estero, pur avendo un patrimonio di gran lunga inferiore al nostro, vengono investiti soldi nell’archeologia, cosa purtroppo molto rara qua da noi, e che hanno un sistema che funziona migliore rispetto al nostro. Io sono un po’ “testardo” e anche un po’ “sognatore”, in quanto, proprio per questo controsenso che caratterizza la nostra nazione, ho pensato di restare in Italia e provare a cambiare le cose e “combattere” per questo grande patrimonio che abbiamo.
Adesso lavori come archeologo o hai trovato un’altra “sistemazione”? Il Covid ha in qualche modo influito sul tuo lavoro e in che modo?
Da circa un paio di anni lavoro come sorvegliante sui cantieri stradali, tramite un intermediario, per una grossa ditta di distribuzione di servizi idrici principalmente di Roma e che tramite degli appalti necessita di archeologi che controllino che non ci siano rischi di qualche rinvenimento storico dopo l’inizio di un cantiere.
Soprattutto quando c’è stato il primo lockdown, fortunatamente il nostro lavoro è stato toccato marginalmente perché seguire e fare sorveglianza nei cantieri sono lavori essenziali e rientrano in quello spiraglio di mestieri che non sono stati toccati dalle restrizioni; per fortuna non ne abbiamo risentito tantissimo sotto l’aspetto economico. Il problema è che comunque sono diminuiti gli appalti e quindi le società hanno avuto meno incassi e quindi a cascata hanno cominciato a tagliare gli stipendi e i dipendenti, quindi anche noi abbiamo meno compensi ricevuti a giornata.
Quali sono i tuoi progetti, i tuoi consigli e le tue speranze per il futuro?
Principalmente spero che la figura dell’archeologo venga riconosciuta meglio perché ci sarà sempre bisogno di persone ben preparate che seguano gli scavi e soprattutto che sia tutelato, cosa che purtroppo fino ad adesso accade poco. In futuro mi piacerebbe o fare qualche concorso pubblico o aprire una ditta mia e cercare di portare avanti il discorso della conoscenza dei beni archeologici. Spero in un futuro prossimo che da parte di chi ci governa ci sia una presa di coscienza di quanta potenzialità poco sfruttata e poco riconosciuta che abbiamo in questo Paese.
1-2 i dati risalgono al 2017. Fonte: https://www.truenumbers.it/economia-sommersa-in-italia/#:~:text=Nel%202017%20l%27economia%20sommersa,traffico%20di%20droga%20e%20prostituzione.