Quarantena generale, distanziamento, panico, desolazione e autocertificazioni per poter uscire di casa: no, non è il lockdown di marzo-aprile 2020, ma la peste del 1630 a Firenze. Di questo e molto altro parla il libro pubblicato in questi giorni dall’editore Antonio Pagliai della casa editrice “Mauro Pagliai Editore” e scritto da Pier Paolo Benucci, autore e docente di materie letterarie, che ringraziamo per la sua disponibilità a rispondere a qualche domanda.

L’epidemia di Peste del 1630, conosciuta anche come “Peste manzoniana”, perché trattata ampiamente da Alessandro Manzoni ne “I Promessi sposi” e nel saggio storico “Storia della colonna infame”, si diffuse già dal 1629 dal Ducato di Milano, in tutta l’Italia settentrionale, si stima che nel nord Italia tra il 1630 e il 1631 morirono 1.100.000 persone su una popolazione di circa 4 milioni. Successivamente arrivò anche nel Granducato di Toscana, dove ci furono due ondate successive, una nel 1630-31 e l’altra nel 1632-33.

L’autore, basandosi su documenti e testimonianze dell’epoca, ricostruisce in primo luogo la modalità di diffusione dell’epidemia e le dinamiche sociali che la accompagnarono.  Il saggio approfondisce poi l’argomento medico, delineando i rimedi impiegati e le figure professionali coinvolte nella cura dei malati. Una sezione specifica e molto interessante è dedicata alle cronache dell’epoca, ai diari e agli epistolari, come quello di Virginia Galilei, figlia del celebre scienziato.

Pier Paolo Benucci, nato a Firenze nel 1946, è laureato in filosofia. È stato a lungo docente di materie letterarie all’Istituto Superiore Russell Newton di Scandicci e ha tenuto corsi promossi dal Ministero della Pubblica Istruzione sull’utilizzo dell’informazione nell’insegnamento della lingua italiana. Ha inoltre insegnato Storia contemporanea e Storia dell’alimentazione presso la Libera Università di Scandicci. Ha curato testi scolastici, tra cui “I promessi sposi: materiali di studio” (Armando Editore, 1997).

Perché ha scelto di scrivere un saggio proprio sulla Peste del 1630 e non su altre epidemie di Peste del corso della storia, per esempio quella del Boccaccio del 1348?

Io avevo appena pubblicato un libro per la scuola dei Promessi Sposi, lavorando a lungo sulla peste manzoniana e quando vidi che era arrivata a Firenze volli studiare quella grande peste di Firenze. Inoltre per la mia grande ammirazione verso Ferdinando II de’Medici, Granduca di Toscana dell’epoca, che non è tanto ammirato dagli storici perché non seppe difendere Galileo Galilei dall’Inquisizione, ma in realtà fece di tutto per difenderlo. Proprio in quel periodo le due figlie illegittime di Galileo erano state messe in convento ad Arcetri e c’era stato uno scambio di lettere. Tutto questo insieme di circostanze mi hanno portato un grande interesse nello scrivere questo libro.

Quali sono state per lei le parti più interessanti nella scrittura del saggio?

La parte più interessante è stata sicuramente la documentazione sulla mia Firenze, che aveva nomi delle strade diverse, ma comunque è sempre la stessa città di oggi. Le fonti che ho usato sono quattro e sono tutte originali, per cui ho dovuto reimparare a leggere la stampa del seicento con abbreviazioni mediche molto complicate. Nel libro è presente anche una pagina originale del libro “Relazione del contagio stato in Firenze nell’anno 1630” del Rondinelli. Le testimonianze che a me piacciono di più sono le lettere che Virginia Galilei mandava al padre; Galileo adorava la figlia maggiore e conservò tutte le sue epistole, che sono interessantissime: ella mandava i “bericuocoli”, antenati dei cavallucci o ricciarelli, o la marmellata con fiori di rosmarino, una cosa raffinatissima. Una cosa che da storico e da fiorentino mi è piaciuta molto è stata che le autorità sanitarie di Firenze non andavano a cercare gli untori, come avveniva a Milano, non guardavano le stelle, ma studiavano come la peste cambiava a seconda delle stagioni, cosa che facciamo ancora oggi. Da questi studi emerge e possiamo ammirare come Firenze fosse una città molto moderna: Ferdinando II fece la prima quarantena generale della storia, organizzando la distribuzione del cibo quartiere per quartiere, o meglio sestiere per sestiere; oppure la realizzazione delle fosse comuni, dove venivano sepolte le vittime dell’epidemia, veniva effettuata con tecniche molto moderne per l’epoca. Questa modernità di Firenze, sebbene non fosse uno dei centri scientifici più importanti all’epoca, era dovuta alla rivoluzione scientifica del seicento di Galileo, mentre città come Milano, che era sotto il dominio spagnolo, erano più arretrate e non riuscirono ad usare misure adeguate contro la peste.

Leggendo il libro, possiamo rivivere quello che noi abbiamo vissuto durante questo 2020, che effetto le ha fatto vedere pubblicare il suo saggio sulla peste in un periodo di pandemia globale?

Io ho scritto questo libro dieci anni fa e ora l’editore lo ha pubblicato, ma al suo interno ci sono dei paralleli con oggi veri e assolutamente non cercati: anche allora ci si divideva in ottimisti e pessimisti, anche allora c’era la paura del secondo contagio o di una seconda ondata. Nel 1630 per poter uscire da Firenze era obbligatorio avere la bolletta di sanità, che è l’equivalente dell’autocertificazione che ci stampavamo per poter uscire di casa nel periodo del lockdown. Questi paralleli sono incredibili e mi hanno colpito molto. A Firenze inoltre si era capito che il contagio si diffondeva con le masse, cosa che non si era compresa a Milano, dove ad ogni processione di fedeli i morti aumentavano nuovamente. Qui a Firenze la processione della Madonna dell’Impruneta veniva effettuata con tutte le regole sanitarie di distanziamento: c’erano i soldati che vietavano ai fedeli di avvicinarsi.

Parlando sempre di un paragone tra peste e coronavirus, a suo parere le autorità oggi hanno gestito la situazione come fece Ferdinando II allora, o si poteva fare meglio?

Io non sono affatto un negazionista, conosco un’amica che si è salvata per miracolo e so bene quante persone sono morte in Lombardia. Guardando i numeri del contagio in Italia, molto più bassi rispetto ad altri paesi europei, le misure adottate dalle autorità hanno funzionato bene, ma secondo me si stanno spaventando troppo le persone con delle informazioni non corrette, perché i numeri dei morti per coronavirus si dovrebbero dare in percentuale e solo così ci possiamo rendere conto di quante persone attualmente muoiono per covid.

 Un grande ringraziamento a Pier Paolo Benucci per la disponibilità e la gentilezza e un invito a tutti a leggere questo libro che è veramente interessante e da cui possiamo capire che nella nostra storia ci sono stati periodi peggiori di quello che abbiamo vissuto quest’anno.

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