Nonostante in un periodo delicato come quello che stiamo vivendo la normalità sembri un ricordo, a Siena la tradizione della scopertura del pavimento del Duomo non sarà infranta neppure quest’anno ed è stata infatti riproposta al pubblico a partire dal 17 agosto per arrivare a concludersi il 7 ottobre.
In questo lasso di quasi due mesi il rivestimento che solitamente è posizionato sul pavimento, per proteggerlo e conservarlo dal passaggio dei turisti, e che lo ricopre per due terzi della superficie, sarà rimosso. A tutela dell’opera è stato istituito un percorso obbligato che il visitatore deve percorrere e che, purtroppo, quest’anno, servirà non solo per poter osservare l’opera senza metterla a rischio ma anche per mantenere quel distanziamento sociale necessario in questo periodo.
Il pavimento del Duomo di Siena, è un capolavoro la cui lavorazione è continuata per circa cinque secoli, dal trecento all’ottocento, e che per la sua bellezza, sia dal punto di vista estetico e di pura tecnica scultorea che dal punto di vista del messaggio che intende mandare all’osservatore, cioè quello di una continua ricerca della sapienza, non può rimanere nascosto per sempre.
Alla realizzazione del “tappeto di marmo”, hanno partecipato grandi artisti come il Sassetta, Domenico di Bartolo, Matteo di Giovanni, Domenico Beccafumi e, probabilmente il più conosciuto, Pinturicchio che ha firmato la tarsia con la rappresentazione della fortuna personificata come una ragazza che tiene una vela e una cornucopia.
Sul pavimento della chiesa ci sono sessanta immagini scolpite, tra loro collegate da un tema comune, come presupposto da Friedrich Ohly (il primo a studiare l’opera nel suo insieme). Il tedesco ha immaginato che ogni scena presente potrebbe rimandare al concetto di Salvezza in tutte le sue forme. Fuori dal luogo sacro sarebbero raffigurati pagani ed ebrei i quali sarebbero esclusi da questo processo. All’interno, davanti al portale centrale, Ermete Trismegisto, che simboleggia l’inizio della conoscenza terrena, tiene in mano un libro che sta a rappresentare l’Oriente e l’Occidente. Altre scene alludono a vari significati teologici, come la scena del sacrificio che rimanda all’Eucarestia, altre ancora sono legate ai simboli della città e delle sue origini, come ad esempio La Lupa senese.
Tra tutte le rappresentazioni ce ne sono di veramente toccanti, una su tutte la tragica immagine di una madre che stringe tra le braccia il figlio, presente nel riquadro che raffigura la strage degli innocenti, scolpita su disegno di Matteo di Giovanni, e che ne accentua la drammaticità.