A ben 5 anni di distanza dal suo ultimo successo, Giornalismo 3D La metamorfosi di una professione, Marco Gasperetti, scrittore, docente di giornalismo all’Università di Pisa e, soprattutto, inviato in Toscana per il Corriere della Sera, decide di raccontare, in un piccolo romanzo, La società dei giornalisti estinti (Polistampa, Mauro Pagliai Editore, Firenze, 2020), com’era il giornalismo quando ancora non c’era internet, delineandone i pro ed i contro e soprattutto le sue considerazioni in merito all’uso di esso; oltre a questo aspetto fondamentale viene raccontata la storia del giornalismo italiano degli ultimi quarant’anni passando per “l’invasione delle macchinette”, arrivando “ai cervelli elettronici” ed infine “le donne, finalmente”.
Descrivendo una redazione inventata, ma con personaggi molto verosimili, Gasperetti riesce a far immedesimare ed a far capire i meccanismi di un giornale anche a chi nel mondo del giornalismo non è inserito, disegnando così aspetti topici di un’epoca quasi del tutto superata, che fanno scendere una lacrimuccia ai più nostalgici, come ad esempio andare a caccia dello scoop in tutti i modi, consultando i propri informatori, cosa ormai rara ai giorni nostri, oppure vedere il reparto della cultura quasi sempre vuoto, mentre gli atri lavoravano come muli, conoscere “Vlad l’imperatore”, il capo cronista, ed anche il “Socrate”, colui che trovava la notizia anche dall’evento più insignificante ed infine, avere il caporedattore o il direttore urlarti nell’orecchio per una giornata intera; ah no, questo aspetto è rimasto uguale anche oggi…
Questo è un romanzo ben scritto e molto scorrevole, da leggere tutto d’un fiato, che inizia con una sorta d’attacco nei suoi confronti da parte di un blogger “LogoNero” ed una ragazza:” ha afferrato il microfono e ha iniziato il suo velenoso karaoke contro il mio giornale, i suoi padroni oligarchici e galeotti e gli articoli che avevo scritto come uno scribacchino del potere.” Con queste dolorose parole l’autore sancisce uno stacco netto tra il giornalismo di un tempo e quello d’oggi, dicendo che ora chiunque può fare informazione e disinformazione allo stesso tempo, basta semplicemente andare su qualsiasi social ed aprire un blog; questo è uno dei tanti motivi per il quale i giornali cartacei stiano vendendo sempre meno copie, ad esempio il Corriere della Sera è passato da venderne 620 mila nel 2003 a sole 212 mila nel 2018.
Ringraziamo Marco Gasperetti per averci concesso un’intervista e lasciamo che sia lui a raccontarci la propria esperienza.
Quali sono stati i suoi primi passi nel mondo del giornalismo?
Ho iniziato la mia esperienza giornalistica quando frequentavo le scuole medie nel 1968, scrivevo nel giornale della scuola, che raccontava con baldanza e spirito critico ciò che avveniva all’interno di essa; una volta fui anche censurato per aver mosso una critica ad un professore; quell’esperienza mi piacque moltissimo, infatti grazie ad essa iniziai a pensare che il giornalista sarebbe stata la professione adatta per me. Dopo essermi laureato a Firenze, per qualche anno ho lavorato come collaboratore esterno a “Il Telegrafo”, il quale pochi anni dopo cambiò nome, così come è conosciuto oggi, ”Il Tirreno”, dove fui assunto come praticante il 1 gennaio 1981. Per la mia crescita formativa ha avuto un ruolo fondamentale scrivere nel giornale della scuola alle medie, proprio per questo, secondo me è importante che il giornalismo venga insegnato nella scuola dell’obbligo; partendo dalle elementari, fino ad arrivare alle superiori e poi ovviamente all’università per chi volesse fare il giornalista. Proprio su questo tema sto pensando di scrivere una seconda parte del libro appena pubblicato, visto che oggi con i new media ed i social, chiunque di fatto può fare informazione, comunicazione ed anche giornalismo, il problema è che non viene insegnato all’interno delle scuole, quindi molti non sanno come rilasciare le notizie, oppure non riescono a distinguere uno scoop da una fake news.
Con l’avvento del web il lavoro del giornalista sicuramente è cambiato, alcuni sostengono che abbia “ammazzato” il vero giornalismo, mentre altri pensano che sia un’ottima novità, lei cosa ne pensa?
Per rispondere a questa domanda molto complessa, faccio un paragone con l’antichità; inizialmente i poemi omerici, o comunque il sapere dell’epoca era tramandato oralmente, persino Socrate era avverso alla scrittura e pensava che trasmettendo i pensieri in modo orale si tenesse allenata la memoria, poi però fortunatamente c’è stata la necessità di scrivere e quindi molte opere, diversi pensieri filosofici e tanti studi scientifici sono arrivati a noi; altrimenti sarebbero andati perduti. Sicuramente le persone hanno perso un po’ di memoria, ma d’altro canto la scrittura ha contribuito a far nascere il pensiero analitico, le persone hanno iniziato a leggere, a riflettere ed ad ampliare la propria cultura ed infine con l’invenzione della stampa verso la metà del XV secolo quasi chiunque poteva avere un libro.
Alla stessa maniera l’informatica ed il web hanno cambiato il modo di fare giornalismo, ma non per questo l’hanno peggiorato; è vero che ora si possono scrivere articoli senza nemmeno andare sul posto, cosa impensabile fino a qualche decennio fa, però alla stessa maniera bisogna stare attenti a non cadere nella trappola delle fake news, le quali sono ovunque su internet. Quindi secondo me è uno strumento dal quale, se saputo usare adeguatamente, si possono trarre molti vantaggi; il giornalismo stesso si deve adeguare ad esso, visto che la direzione che stanno prendendo i giornali è quella online, tra qualche decennio i giornali cartacei pochissimi, anche se sicuramente manterranno un livello di scrittura ed approfondimento più elevati rispetto a quelli sul web, prima di scomparire del tutto.
Quali sono i consigli che lei dà ad un giovane che entra adesso nel mondo del giornalismo?
Per imparare questo mestiere bisogna esercitarsi a scrivere il più possibile, leggere molto, non solo articoli online, ma, soprattutto, i giornali cartacei, perché è lì dove si trova la miglior forma di scrittura, oltre che leggere tanti libri. La cosa più importante, a parer mio, è imparare a criticare, ovviamente sempre se è necessario, con critiche fondate, poiché la tendenza di oggi è quella di “sviolinare” su tutto, ovvero quella di far passare tutto per buono.