Questo è un libro che avrà poco esito disse Francesco Trevisan all’amico Pellegrino Artusi dopo aver letto il suo manuale di cucina. Uno dei tanti ricettari destinati al veloce tramontare.
Se Trevisan fosse qui probabilmente riderebbe e si schernirebbe per la sua amara sentenza: 111 edizioni ed oltre un milione di copie vendute!
La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene non è un semplice ricettario, ma un viaggio nella cultura del cibo, nei suoi segreti, nei suoi aneddoti più curiosi.
Il 4 agosto 2020 si celebrano i 200 anni dalla nascita dello scrittore, critico letterario e gastronomo italiano Pellegrino Artusi.
Dopo due opere senza molto successo, Vita di Ugo Foscolo e Osservazioni in appendice a trenta lettere di Giuseppe Giusti, mai si sarebbe aspettato di diventare un fondamentale punto di riferimento per cuochi e chef italiani. La storia del libro viene infatti rassomigliata dallo stesso autore a quella di Cenerentola, piena di peripezie, ma con un gran lieto fine.
È difficile per un cuoco italiano contemporaneo confrontarsi con un libro come questo. Perché il valore del testo artusiano trascende il ruolo di qualsiasi cuoco, scrive Massimo Bottura, chef modenese da tre Stelle Michelin, nella prefazione dell’edizione speciale dell’opera artusiana in occasione dell’anniversario della sua nascita.
Il libro conta ben 790 ricette, che custodiscono anche un grande tesoro linguistico. Un fiorentino ricco, scorrevole e coinvolgente dà colore all’intero manuale.
Una delle più celebri è quella del minestrone, famosa soprattutto per il curioso aneddoto che la incornicia.
Un sabato sera entro in una trattoria e dimando: – Che c’è di minestra?- Il minestrone, – mi fu risposto. – Ben venga il minestrone, – diss’io. Pranzai, e fatta una passeggiata me ne andai a dormire. Avevo preso alloggio in Piazza del Voltone in una palazzina tutta bianca e nuovissima tenuta da un certo Domenici; ma la notte cominciai a sentirmi una rivoluzione in corpo da fare spavento; laonde passeggiate continue a quel gabinetto che più propriamente in Italia si dovrebbe chiamare luogo scomodo e non luogo comodo. -Maledetto minestrone, non mi buscheri più!- andavo spesso esclamando pieno di mal animo contro di lui che era forse del tutto innocente e senza colpa veruna.
Accertato che la colpa non era del tanto infamato minestrone, ma dell’epidemia di colera, decise di mettere le mani sulla sua ricetta perfezionandola più volte.
Dopo crostini, fritti, cacciagione, torte e dolci, Artusi non abbandona gli stomachi di carta, con un appendice sulla cucina per gli stomachi deboli, la quale pare sia venuta di moda.
Forlimpopoli, città che diede alla luce il gastronomo il 4 agosto 1820, lo celebra con la 24° edizione della Festa Artusiana. Cucina, arte e spettacoli in onore del 200esimo compleanno dell’Artusi.
Anche Firenze, città dove si trasferì nel 1851, lo ricorda, con una cerimonia in piazza d’Azeglio, di fronte alla sua dimora fiorentina.
Nel libro si trovano anche le istruzioni per la preparazione ad hoc del piatto fiorentino per antonomasia, la mitica bistecca.
556. – Bistecca alla fiorentina.
Da beef-steak parola inglese che vale costola di bue, è derivato il nome della nostra bistecca, la quale non è altro che una braciola col suo osso, grossa un dito o un dito e mezzo, tagliata dalla lombata di vitella. I macellari di Firenze chiamano vitella il sopranno non che le altre bestie bovine di due anni all’incirca; ma, se potessero parlare molte di esse vi direbbero non soltanto che non sono più fanciulle, ma che hanno avuto marito e qualche figliuolo.
L’uso di questo piatto eccellente, perché sano, gustoso e ricostituente non si è ancora generalizzato in Italia, forse a motivo che in molte delle sue provincie si macellano quasi esclusivamente bestie vecchie e da lavoro. In tal caso colà si servono del filetto, che è la parte più tenera, ed impropriamente chiamano bistecca una rotella del medesimo cotta in gratella.
Venendo dunque al merito della vera bistecca fiorentina, mettetela in gratella a fuoco ardente di carbone, così naturale come viene dalla bestia o tutt’al più lavandola e asciugandola; rivoltatela più volte, conditela con sale e pepe quando è cotta, e mandatela in tavola con un pezzetto di burro sopra. Non deve essere troppo cotta perché il suo bello è che tagliandola, getti abbondante sugo nel piatto. Se la salate prima di cuocere, il fuoco la risecchisce, e se la condite avanti con olio e altro, come molti usano, saprà di moccolaia e sarà nauseante.
Certo, leggendo un libro come quello dell’Artusi non può che venire la voglia di mettersi ai fornelli. La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria.