40° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI BOLOGNA
Il 2 Agosto 1980 sembrava essere un giorno come gli altri alla Stazione Centrale di Bologna, treni in partenza e profumo di vacanza, e nessuno si sarebbe mai aspettato l’improvviso scoppio di un ordigno durante la tarda mattinata di una calda giornata estiva.
Alle 10.25 però, un boato squarciò il sommesso brusio della stazione che subito dopo venne seguito da grida di panico, pianti, polvere e macerie. L’esplosione, che causò la morte di 85 persone e ne ferì 200, avvenne nell’atrio sinistro della stazione ferroviaria, dove la bomba era stata piazzata all’interno di una valigia sotto il muro portante dell’ala ovest a scopo di aumentarne drasticamente l’effetto. I danni furono devastanti, con il crollo della colonna portante andarono distrutti sia la sala d’aspetto della seconda classe, che il ristorante del piano superiore; i detriti colpirono inoltre la piazza antistante dove i taxi attendevano i loro clienti (piazza Medaglie d’Oro) ed il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, che era fermo al binario più vicino al luogo dello scoppio. I soccorsi, composti sia da medici che da civili, furono immediati. La città che si stava spopolando per via delle ferie si riaccese il pochi minuti per fare arrivare alla stazione la necessaria assistenza: vennero mobilitati l’esercito, gli operatori sanitari, i vigili del fuoco ed altro personale medico venne richiamato in servizio dalle ferie in modo che gli ospedali fossero totalmente attivi ed in grado di accogliere tutti i feriti. Nel frattempo però era anche necessario che le salme delle vittime venissero trasportate, quindi un autobus della linea 37 venne trasformato in un carro funebre con unica destinazione: Medicina Legale. Il conducente della vettura n°4030, diventata ormai un simbolo della tragedia, Agide Melloni allora trentunenne, si esprime così per ricordare il delirio di quella giornata: “Mi chiesero di portare via i cadaveri con il bus. Dal mattino alle tre di notte, con i lenzuoli bianchi appesi ai finestrini. Ma in ogni viaggio c’era qualche soccorritore con me, per sostenermi”.
La sera stessa, alle 17:30, l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini giunse in stazione in elicottero e pianse le vittime insieme ai loro familiari, affermando di fronte ai giornalisti: «Non ho parole, siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia».
Contemporaneamente venne organizzata la prima manifestazione per chiedere giustizia e verità. Il Presidente presenziò anche ai funerali, il 6 agosto 1980, e proferì un toccante discorso con riferimento a giustizia e verità. Nella stessa occasione il sindaco di Bologna, Renato Zangheri, intervenne richiamando l’attenzione sull’attentato avvenuto 6 anni prima (il 4 Agosto 1974) sempre a Bologna come se fosse stato un antecedente di questo, mosso dagli stessi propositi, quelli di dimostrare la debolezza della nostra democrazia: “La stessa città, lo stesso nodo ferroviario, gli stessi giorni delle vacanze, forse lo stesso proposito di recitare il crimine anche sul corpo di viaggiatori stranieri, e quindi di dimostrare ad altri popoli e governi la debolezza della nostra democrazia”.
Le indagini e i processi iniziarono subito, così come i depistaggi, e non si ebbero condanne fino all’11 luglio 1988 quando la sentenza di primo grado condannò all’ergastolo quattro estremisti ritenuti gli esecutori materiali dell’attentato: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Massimiliano Fachini e Sergio Picchiafuoco. Nella stessa data vennero condannati per depistaggio, con dieci anni da scontare, anche Licio Gelli e Pietro Musumeci, appartenenti alla loggia massonica P2, e gli agenti segreti Francesco Pazienza e Giuseppe Belmonte. La storia processuale però è caratterizzata da continui capovolgimenti. Nel 1990 ci fu un ribaltamento drastico della sentenza: vennero assolti tutti dall’accusa di strage. Due anni dopo (1992) le sezioni penali unite dalla cassazione decidono di riaprire il processo e il 16 maggio 1994 confermò l’impianto accusatorio del processo di primo grado. Nel 1995 Mambro e Fioravanti ricevono il terzo ergastolo, come effettivi esecutori della strage.
Fra i condannati ci fu anche Luigi Ciavardini, minorenne al tempo dell’attentato, processato tra il 2000 e il 2004; venne assolto dall’accusa di strage ma condannato per banda armata. Successivamente la sezione minori della Corte d’Appello di Bologna annullò la sentenza condannandolo, come esecutore dell’attentato, a trenta anni di reclusione. Nel 2007 la seconda sezione penale della Cassazione confermò la pena.
Nel 2005 venne aperto il filone d’indagine che studia la presenza a Bologna, nello stesso giorno dell’attentato, del militante tedesco Thomas Kram esperto di esplosivi e quindi riconducibile all’ordigno militare esploso nella stazione. Nel 2007 in seguito alla costituzione di Kram alle autorità tedesche la procura di Bologna richiese di poter sentire Kram come “persona informata sui fatti”. Nel 2011 Kram venne aggiunto agli indagati, ma nel 2015 la sua posizione venne archiviata.
L’ultimo processo, avviato nel 2017, pone sotto accusa di concorso in strage Gilberto Cavallini, che avrebbe offerto copertura e supporto ai terroristi. Cavallini, che già era stato condannato ad otto ergastoli e che al momento della sentenza era in stato di semilibertà, viene ritenuto colpevole delle accuse e condannato ad un nuovo ergastolo il 9 gennaio 2020.
Le indagini continuano senza interruzione anche se sembra che la verità non voglia farsi svelare. I familiari delle vittime affermano infatti che i documenti desecretati dopo la direttiva Renzi sono pieni di omissioni e illeggibili. Vanno avanti invece le indagini dei magistrati di Bologna che hanno chiuso l’ultima inchiesta grazie alle intercettazioni ambientali risalenti al 1996 in cui Carlo Maria Maggi afferma che l’attentato di Bologna serviva a coprire la strage di Ustica del 27 giugno 1980 in cui morirono 81 persone. Il terrorista racconta anche che a piazzare la bomba furono effettivamente Fioravanti, Mambro e Cavallini e che Fioravanti aveva ancora con sé un milione di euro, anticipo, secondo l’ultima inchiesta bolognese, dei cinque ricevuti da Licio Gelli per il finanziamento totale della strage e il depistaggio delle indagini.
Il 30 luglio 2020 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quaranta anni dopo Sandro Pertini, si si reca a Bologna per commemorare la strage del 2 agosto 1980:
“Dopo il gesto di omaggio alla lapide che ricorda le vittime della barbarie degli stragisti vi sono poche parole da poter pronunciare: dolore, ricordo, verità.[…]
Ognuna delle 85 vittime della strage di Bologna aveva una storia, una prospettiva di vita, un futuro che è stato rimosso, sottratto loro e cancellato […]
Questo dolore non è estinguibile, è una ferita che non può rimarginarsi e che per questo chiede ricordo, il ricordo delle vittime innanzitutto e di quel che è avvenuto per essere vigili, per evitare che si ripeta qualunque avvisaglia di strategia del terrore come quella che allora fu messa in campo. […]
Questo ricordo naturalmente sarebbe incompleto e inefficace se non accompagnato, come è stato fatto costantemente in questi anni dai familiari delle vittime e dall’Associazione che li rappresenta, dalla richiesta di verità piena”.
È con queste parole che il Capo dello Stato commemora le 85 vittime di quel 2 agosto del 1980, uno degli atti terroristici più gravi del secondo dopoguerra.
Ricordare questi terribili avvenimenti è necessario, poiché la verità deve essere scoperta affinché la storia non si ripeta.