Il primo Giugno di cinquant’anni fa, ci lasciava all’età di 82 anni Giuseppe Ungaretti, poeta, scrittore, giornalista, accademico e traduttore italiano.
Definito da Gianfranco Contini “il solo innovatore, o liberatore, nella catena dei poeti moderni”, Ungaretti fu un padre per la cultura italiana del Novecento, nonché precursore dell’Ermetismo. Durante la sua vita Ungaretti ebbe modo di conoscere quella che era la piazza artistica di quegli anni, coi quali non ebbe sempre ottimi rapporti. Si dice che di pari passo alla sua crescente fama di poeta andassero gli scontri verbali con i letterati a lui contemporanei: avrebbe infatti espresso forti disapprovazioni verso i suoi colleghi, quasi come fosse affetto da un profondo sentimento di superiorità. Liti con autori come Montale, Cardarelli o Quasimodo si dice fossero all’orine del giorno: Ungaretti avrebbe espresso riserve anche per il Nobel vinto dal poeta siciliano. Altre testimonianze invece parlano di ottimi rapporti umani, specie con i colleghi più giovani i quali affascinati dalla sua carica e simpatia, lo cercavano per di consigli e incoraggiamenti.
Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1888 da genitori lucchesi, una condizione questa che influenzò molto il poeta nel corso degli anni. Piccolissimo, a soli 2 anni vive la morte del padre, scomparso a causa di un incidente sul lavoro. Nonostante ciò grazie agli sforzi della madre riesce a frequentare comunque la scuola superiore d’Alessandria. Si trasferisce poi a Parigi, dove ebbe l’occasione di assistere alle lezioni del filosofo Bergson ed entrare in contatto con numerosi artisti del momento come Apollinaire e Picasso. Trovò un grande interesse nei poeti decadenti francesi, Boudelaire e Mallarmé primi su tutti, arrivando a dire su quest’ultimo: “Lo lessi con passione ed, è probabile, alla lettera non lo dovevo capire, ma conta poco capire alla lettera la poesia: la sentivo”. Nel 1915 arrivano le prime poesie sulla rivista Lacerba, ma si dovrà aspettare il 1916 per la prima vera e propria pubblicazione di un’opera.
Nel 1914 al seguito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, Ungaretti, fortemente interventista, torna in Italia a Viareggio, arruolandosi come soldato semplice a andando in prima linea fra le trincee del Carso. Vivere il fronte tuttavia porta il poeta a rivedere la sua concezione positiva della guerra: l’ormai sopravvenuta familiarità con la morte svela al poeta la reale assurdità e la sincera crudeltà del conflitto. I motivi che spinsero Ungaretti ad un così importante atteggiamento interventista erano probabilmente legati alla sua infanzia di esule, un modo per ritrovare sentimenti nazionalisti e patriottici.
E così nel pieno del conflitto Ungaretti pubblica il suo primo libro di versi “Il porto sepolto” nel quale si nota già ampiamente le radicali novità presentate dalla sua poetica, come la “frantumazione metrica” e il rinnovamento dello stile poetico grazie anche ad alcune influenze futuriste, anche se non si spinse mai fino al “paroliberismo”.
Fra il ritorno a Parigi a fine guerra e il successivo trasferimento a Roma,Ungaretti ebbe modo di entrare in contatto con l’emergente Benito Mussolini, lavorando anche come corrispondente per il giornale fascista Popolo D’Italia. Nel 1919 pubblica il libro di versi “Allegria dei naufraghi” che confluirà insieme a “Il porto sepolto” nella nuova raccolta “L’Allegria”, del 1931. In queste liriche si sente forte l’influenza simbolista: è il periodo dello sperimentalismo con importanti connotati autobiografici riguardanti la giovinezza in Egitto e l’esperienza della guerra. Una poesia dunque oscura e non facile di comprensione, in cui le parole passano da una dimensione privata ad una condizione universale. Elemento fondamentale e centrale rimane la nuova concezione della “parola”, per cui la parola poetica deve ricoprirsi di significato e prendere il compito di svelare la vera essenza della natura. Si potrebbe definire la fase “ermetica” del poeta, prestando però attenzione a non dimenticare che l’Ermetismo come movimento vuol nascondere il segreto significato delle cose mentre la poesia di Ungaretti mira a svelare; inoltre l’Ermetismo nasce dopo il primo conflitto mondiale.
Tra il 1920 e il 1936 Ungaretti ricoprì il ruolo di giornalista, sono questi gli anni dell’adesione al fascismo, della crisi religiosa che lo spinse a ritrovare Dio e del matrimonio con Jeanne Dupoix con la nascita dei due figli. La fede diviene per lo scrittore l’ultimo appiglio dell’uomo smarrito di fronte alle angosce esistenziali e al dolore della morte, una realtà che da quel momento diverrà dominante nella sua poesia. Nel 1933 esce il “Sentimento del tempo”, una raccolta che sancisce l’inizio di una fase direzionata verso il recupero della tradizione e che risente delle teorie di Bergson sulla percezione del tempo. Attraverso un vero e proprio “ritorno all’ordine”, Ungaretti tenta di ricostruire un’identità poetica grazie alla radici e il canto dei grandi autori italiani del passato. Persiste il ricco utilizzo dell’analogia, ma si cerca un linguaggio più articolato e un’ispirazione barocca e al contempo divina.
Nel 1936 Ungaretti accettò la cattedra di lingua e letteratura italiana all’Università di San Paolo in Brasile, ma l’esperienza di quegli anni fu segnata da due avvenimenti tragici per la vita del poeta, le morti prima del fratello e poi del figlio Antonietto. Eventi che condizionarono fortemente la successive produzioni del poeta assalito da un senso di vuoto.
Tornato in Italia nel 1943 riceve un posto all’Università di Roma. L’avvento della Seconda Guerra Mondiale radica nell’animo del poeta ancor di più la sua sofferenza interna, portandolo a rifugiarsi nel passato per colmare il vuoto opprimente. Di questi anni sono le raccolte “Il dolore”, “La terra promessa”, “Un grido e paesaggi”, e “Il taccuino del vecchio”, opere in cui si assiste ad un progressivo distacco della vita nel poeta che esprime il proprio dolore e quello universale della guerra.
Nel 1958 l’ennesimo lutto, la morte della moglie. Undici anni dopo pubblica “Vita d’un uomo”, la raccolta completa di tutte le sue liriche, per poi spegnersi un anno dopo nel 1970 a Milano. Due anni prima di morire, nel 1968, il poeta aveva illustrato in televisione, in prima serata, una affascinante riduzione televisiva dell’Odissea, leggendo con grande passione alcuni versi di Omero.