“Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non posso dare alla musica abbastanza.”
Ezio Bosso, spentosi oggi 15 maggio 2020 a Bologna, era malato dal 2011 di una malattia neurodegenerativa e a settembre 2019 ha rilasciato queste parole in una delle sue ultime apparizioni. La malattia gli aveva intaccato anche due dita della mano e questo gli impediva di suonare il pianoforte, rinunciando così a una parte di ciò che, come diceva lui, l’aveva salvato: la musica.
Pianista, contrabbassista, compositore e direttore d’orchestra che con la sua professione si era costruito una corazza… “la bacchetta mi aiuta a mascherare il dolore”, diceva.
Era nato a Torino nel 1971 e si è spento a soli 48 anni. Studiò all’Accademia di Vienna e si fece conoscere in tutto il mondo con le sue grandi performance e composizioni, alcune delle quali utilizzate come colonna sonora di noti film, come Io non ho paura e Il ragazzo invisibile (per i quali ricevette anche la candidatura al David di Donatello).
Dopo l’inizio della malattia non si è abbattuto, anzi ha continuato a dare un grande esempio di resistenza e coraggio.
Ne è una prova la sua esibizione sul palco dell’Ariston, invitato come ospite da Carlo Conti che oggi lo ricorda come qualcuno che “aveva ancora tanto da raccontare, da insegnarci musicalmente e umanamente” e aggiunge “il suo amore per la vita fu un esempio per tutti”.
La sua presenza a Sanremo nel 2016 ebbe il merito di farlo conoscere al grande pubblico non solo come musicista, ma anche come personaggio mai banale nelle sue dichiarazioni. In quell’occasione fu col brano Following a bird (dell’album The 12th Room) che riuscì a emozionare il pubblico e trasmettere quello che era il suo tipico entusiasmo.
Tra lui e i suoi orchestrali c’era un rapporto prezioso, li considerava come fratelli… “quando dirigo è come se avessi tutti i suoni scritti, per me è un contatto visivo, dirigere con gli occhi, con i sorrisi e mando anche baci quando qualcuno ha fatto bene”, diceva.
L’impossibilità di vedere i suoi collaboratori in questo ultimo periodo, per via della quarantena, è stata determinante per il suo stato d’animo. Era svanita quella che considerava la sua terapia: fare musica con e per gli altri perché, come diceva lui, “la musica, come la vita, si può fare solo in un modo: insieme”.
Durante la sua vita la musica scandiva il suo tempo, oggi la sua morte fisica non cancellerà il percorso narrativo del suo personaggio.
(Fonti: Il Fatto Quotidiano, Gazzetta, La Repubblica, Corriere della Sera)