Il 9 maggio 1978 tutti i quotidiani nazionali riportavano in prima pagina la notizia del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Il presidente della Democrazia Cristina era stato rapito da un commando delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978, e le speranze di trovare l’uomo ancora in vita dopo 54 giorni di prigionia, s’infransero quel 9 maggio quando il cadavere dello statista democristiano fu ritrovato nel baule posteriore di una Renault 4 rossa, a Roma in Via Caetani.
La notizia sconvolse l’intera nazione e forse anche per questo un’altra tragica notizia passo’ in secondo piano.
Quello stesso giorno di 42 anni fa venne ritrovato un altro corpo, dilaniato dal tritolo sui binari della linea ferroviaria Palermo – Trapani. Era il corpo di Giuseppe Impastato, un ragazzo siciliano di 30 anni. La sua morte venne inizialmente attribuita ad un suicidio e molti giornalisti compiacenti accreditarono questa versione.
La morte di Peppino Impastato era pero’ tutt’altro che un suicidio, era una vera e propria esecuzione mafiosa e solo molti anni dopo e molte battaglie giudiziarie dopo riusciranno a stabilire l’amara verita’.
Ma chi era questo giovane nato a Cinisi provincia di Palermo il 5 gennaio 1948?
Peppino, come lo chiamavano gli amici, era nato in una famiglia mafiosa, ma ben presto ruppe i rapporti con il padre e comincio’ a condurre le sue lotte insieme ai contadini a cui furono espropriate le terre per la costruzione della terza pista dell’aereoporto di Palermo.
La sua arma per combattere cosa nostra era indubbiamente l’ironia.
Fondo’ Radio Aut, una radio libera ed autofinanziata e nel suo programma intitolato Onda pazza a Mafiopoli, prendeva in giro il boss locale, Gaetano Badalamenti.
Nel 1978 si candido’ nelle file di Democrazia Proletaria e fu eletto simbolicamente al consiglio comunale dopo la sua morte.
Morte, che come scritto in precedenza avvenne per mano mafiosa ma che impieghera’ molti anni per ottenere giustizia.
Nel 1983 si riconobbe la matrice mafiosa dell’assassinio ma venne attribuito ad ignoti. Nel 1988 il Trbunale di Palermo invio’ una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel 1992 lo stesso tribunale decide per l’archiviazione del caso Impastato, definendolo un delitto mafioso ma stabilendo anche l’impossibilita’ di trovare i veri mandanti.
Solo nel 1994, anno in cui per la terza volta verra’ riaperta l’inchiesta, qualcosa sembra cambiare, finalmente la stampa, seppure non in prima pagina, inizia ad interessarsi alla vicenda di Peppino Impastato.
Dopo le uccisioni dei giudici Falcone ed Borsellino, la mafia inizia ad essere rappresentata come un vero e proprio cancro della societa’, essa non e’ confinata solo al Sud Italia e soprattutto viene percepita come un fenomeno pericoloso. Ecco quindi che la morte d’Impastato inizia ad essere raccontata in maniera diversa, non sono piu’ solo gli amici o i familiari a chiedere giustizia ma tutta la parte “per bene” del paese.
La vicenda del ragazzo di Cinisi arriva anche nelle sale cinematografiche grazie al film “i cento passi” di Marco Tullio Giordana che in maniera per nulla romanzata racconta la storia di Peppino.
Cento passi erano esattamente la distanza fra casa Impastato e casa del boss Badalamenti e finalmente nelle sale cinematografiche Peppino riceve il tributo d’onore che gli spetta.
Solo nell’aprile del 2002 Gaetano Badalamenti viene riconosciuto colpevole per l’omicidio Impastato e condannato all’ergastolo.
In questi giorni di polemiche per le “facili” scarcerazioni di mafiosi condannati al carcere duro non dovremmo mai dimenticare Peppino Impastato e le sue parole “Io voglio scrivere che la mafia e’ una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi, prima di abituarci alle loro facce, prima di non accorgerci piu’ di niente!”