Ormai è chiaro che Covid-19 ha rivoluzionato la vita di tutti gli italiani (e non solo), dagli studenti con le videolezioni ai lavoratori alle prese con rischi non indifferenti sul posto di lavoro, a tal punto da costringere tutte le aziende ancora operative a fornire ai propri dipendenti mascherine, guanti e altre protezioni individuali, con lo scopo di garantire la massima sicurezza sanitaria per i lavoratori. Ma di questo ce ne ha parlato in dettaglio Francesco Meduri, Presidente dell’Istituto Italiano per la Sicurezza sul lavoro, che gentilmente ci ha concesso un’intervista, in seguito alla sua conferenza “virtuale” del 28 aprile organizzata per celebrare la Giornata mondiale della Salute e Sicurezza sul Lavoro.
Lei di cosa si occupa in ambito lavorativo?
Lavoro per il settore delle energie rinnovabili, nello specifico per il settore eolico e supporto la mia azienda per lo sviluppo dei nuovi mercati. La mia azienda è di stampo americano ed ha molto a cura la sicurezza sul lavoro ed attraverso un importante percorso formativo sono riuscito a sviluppare un’elevata sensibilità sui temi della salute e sicurezza.
A un certo punto mi sono chiesto “come posso condividere con altri quello che ho appreso in ambito lavorativo?” E’ nata così l’idea di creare l’istituto italiano per la sicurezza, insieme ad altri colleghi che condividono sia la passione che l’approccio alla sicurezza, abbiamo quindi creato questa associazione no profit, il cui obiettivo è proprio quello di contribuire a divulgare la cultura della sicurezza ed aumentare la consapevolezza del rischio.
Dato che il virus si è sviluppato e si sta spostando da est ad ovest, secondo lei è possibile per noi prendere spunto dal mondo orientale ai fini di una ripresa più accelerata?
Penso che ci sia sempre da imparare da chi “c’è passato prima”. Noi occidentali e l’Europa in primis forse abbiamo inizialmente sottovalutato l’entità del problema, pensando che come in passato è successo per la SARS e altre epidemie, rimanessero esclusivamente limitate all’ambiente Asia. Sicuramente quindi, qualcosa in più per essere meglio preparati avremmo potuto farla, anche se noi in Italia siamo comunque stati i primi ad implementare la chiusura dei voli con l’Asia. Purtroppo, di fatto non è stato sufficiente.
Le differenze sostanziali che attualmente ci sono tra la nostra e la loro situazione sono chiaramente quei mesi di crisi in più che a noi mancano essendo arrivato dopo il virus in Europa, tuttavia ancora molti paesi dell’Asia stanno combattendo e non ne sono usciti completamente nonostante abbiamo implementato delle buone pratiche.
Come ad esempio l’App per il monitoraggio e gli spostamenti delle persone che in caso di contagio permette di risalire ai cittadini con i quali si è venuto in contatto. Un’App simile arriverà anche in Italia nelle prossime settimane e in qualche maniera possiamo dire che in questo sicuramente abbiamo preso degli spunti da loro anche se l’approccio resta diverso. Noi siamo un paese democratico e pertanto alcune imposizioni non sono facilmente attuabili dall’oggi al domani, pertanto non ci potremo mai trovare in una situazione come quella della Cina.
Il lockdown cinese è stato infatti “dall’oggi al domani tutto chiuso” mentre da noi è stato un passaggio più regolare e quindi anche il rispetto delle regole chiaramente non è stato lo stesso. È grazie infatti anche al loro approccio con la rigidità che sono riusciti ad uscirne circa un paio di mesi dopo lo scoppio dei casi.
Questo vuol dire che per noi con tutta probabilità, avendo avuto un lockdown più soft e quindi più lungo si allungheranno inevitabilmente i tempi. L’Italia è stato sicuramente uno dei primi paesi a subirne le conseguenze, ma questo non ha esonerato anche altri paesi come Spagna e Francia e più in generale gran parte dell’Europa che non è stata comunque in grado di imparare dall’esperienza italiana e cinese per preservarsi maggiormente da questa emergenza. Ancora peggio andando verso gli Stati Uniti, dove il numero di contagiati è cresciuto velocemente con una situazione attualmente ben peggiore di quella europea. Negli Stati Uniti infatti, avendo un sistema sanitario privato, dove se non hai un’assicurazione muori, non sono mancati casi drammatici come quelli di giovani ragazzi che sono morti per non avere avuto accesso all’ospedale a causa della mancanza dell’assicurazione per pagare le cure. In poco tempo L’America è arrivata ad 1 milione di contagiati senza esserne preparata.
Anche prima di questa situazione era comune vedere una persona asiatica con una mascherina mentre una occidentale no. Perché nonostante le nostre esperienze di epidemie pregresse non siamo stati preparati allo stesso modo?
Sicuramente in questo caso un aspetto fondamentale è quello culturale. Oltre all’uso della mascherina per le epidemie per loro c’è sempre stato anche il fattore Smog ad influire significativamente. Per questo è sempre stato molto più comune l’utilizzo delle mascherine in paesi asiatici dove la densità della popolazione e l’inquinamento sono mediamente più elevati. Abbiamo infatti potuto vedere come anche persone con alto livello di formazione nel nostro paese hanno avuto un approccio superficiale rispetto a loro per quanto riguarda il come indossare una mascherina, che diventa inutile se usata per coprire solo la bocca lasciando appunto il naso scoperto. Se per loro c’è quindi l’aspetto culturale che li aiuta per noi è tutto l’opposto.
Poniamo il caso di un’azienda con 100 persone, vengono rispettate le distanze e protocolli con i DPI necessari, ma nel caso in cui quest’azienda avesse finito le scorte, i tempi di spedizione sono lunghi e non fa chiusure eccezionali. In questo caso come viene tutelata la salute dei lavoratori?
Chiaramente in una situazione come questa ci sono degli obblighi di legge e dei protocolli da rispettare, come azienda quindi se non riesci ad implementare le direttive, dovresti fermarti perché qualunque cosa tu faccia vai contro quelle che sono le regole e le direttive, in breve sei un fuori legge. Le aziende (soprattutto quelle più strutturate) devono riuscire a trovare una soluzione, anche a costo di dover sospendere le attività per qualche giorno, perché gli eventuali errori aziendali non possono mai ricadere sui dipendenti.
Il nostro governo ha giustamente garantito la continuità di una serie di servizi strategici e perciò deve essere pronto a supportarli qualora ve ne fosse bisogno. Diverse aziende (incluse quelle che operano nel settore sanitario) hanno avuto difficoltà a reperire i dispositivi di protezione di individuali e attraverso le associazioni di categoria hanno contattato la protezione civile per richiedere supporto.
Vede in modo fiducioso la ripresa? Che tempi potrebbe avere? Potrebbero esserci danni ormai irreversibili?
Sicuramente questa è una domanda a cui non è facile rispondere. Questo virus sta impattando pesantemente un sistema economico già debole e perciò le conseguenze saranno pesanti soprattutto per le piccole aziende. Le aziende più grandi e strutturate riescono a riorganizzarsi in maniera veloce per accelerare la ripresa, anche a costo di fare tagli alle risorse. Per le aziende più piccole invece la situazione è più difficile, l’organico è già ridotto e quindi il taglio di risorse può trasformarsi in un blocco totale con conseguente rischio di chiusura dell’azienda.
Le aziende quindi hanno bisogno di liquidità e credito per poter far fronte alle loro spese e potersi rilanciare. Il governo con l’apposito Decreto liquidità ha annunciato 400 miliardi di prestiti a sostegno delle aziende ma speriamo che il meccanismo per l’accesso al credito sia piuttosto snello e non burocratico, tale da per permettere alle aziende di poterlo gestire con facilità.
La ripresa non sarà facile, sono tanti i settori colpiti dalle conseguenze del coronavirus, il turismo è senz’altro uno di questi, un settore che in Italia vale circa il 13% del PIL. Stiamo entrando nel periodo estivo con un’incertezza totale. I viaggi da e per l’estero sono attualmente bloccati e probabilmente i blocchi saranno prorogati anche per i prossimi mesi: questo mette un grosso punto di domanda su come potrebbe svilupparsi la stagione turistica. Tanti alberghi, locali e ristoranti hanno chiuso e non sappiamo se e quando riapriranno, c’è quindi tutto il settore turismo a rischio.
Inoltre anche tutto il resto, dai piccoli commercianti ai liberi professionisti sono in crisi, pensiamo anche a chi faceva per esempio formazione; ora è tutto fermo esclusi i pochi casi che sono riusciti ad implementare qualcosa per quanto riguarda la didattica online. Una ripresa chiara ci sarà probabilmente soltanto nel momento in cui avremo un vaccino, e solo allora le persone comuni potranno tornare a fare quello che facevano prima e quindi alla normalità. Siamo chiaramente noi che muoviamo l’economia, andando al ristorante e a fare acquisti, pertanto finché non sarà possibile muoversi rimanendo in uno stato di incertezza e paura anche il sistema rimarrà fermo.
Sarà quindi dura… nonostante inizino ad esserci alcuni segnali di ripartenza. Nei prossimi giorni circa 4 milioni di lavoratori rientreranno in servizio dando così il via alla Fase2. In questa nuova fase dobbiamo agire con estrema consapevolezza e responsabilità perché il virus è ancora tra di noi e solo rispettando le regole ed indossando gli appositi dispositivi di protezione riusciremo ad evitare nuovi contagi. Personalmente ritengo che la ripartenza debba essere gestita a livello regionale, abbiamo regioni che fortunatamente non hanno subito l’ondata dello tsunami come per esempio alcune di quelle del sud oppure come anche la Toscana (che se bene abbia avuto numeri relativamente elevati ha dimostrato di poter gestire e reagire l’impatto del Covid 19) possano essere attuati provvedimenti diversi rispetto a quelli del nord dove l’impatto è stato più elevato.
In conclusione Francesco Meduri ha evidenziato quello che è importante per loro come associazione per la sicurezza: riuscire a sensibilizzare i giovani, in modo da sviluppare un’ottima cultura in materia e ridurre il numero di incidenti lavorativi, domestici e sulla strada.