Donatella Massai ha conseguito il Master in Facoltà di Medicina, con specializzazione in gestione dei sistemi sanitari presso l’Università “La Sapienza” di Roma e successivamente un Master in Politica internazionale con una specializzazione in Diritti umani presso la Facoltà di Parigi XI Jean Monnet, Droit-Economie nel 2003.
Negli ultimi venti anni, è stata impegnata in programmi internazionali di risposta alle emergenze sanitarie in tutto il mondo e ha maturato esperienze nel campo della salute pubblica con dedizione e professionalità ed e’ oggi considerata una esperto di fama internazionale. La signora Massai ha partecipato alla riattivazione della Task Force globale sul controllo del colera, in seguito alla richiesta del Direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). É stata coordinatrice regionale della risposta di UNICEF all’epidemia di ZIKA in America Latina e Centrale.
Ha collaborato con Medici senza Frontiere per oltre dieci anni con funzioni quali capo missione, coordinatore medico e funzionario ufficiale per l’America Latina e i Caraibi. In Italia, è stata direttore generale di organizzazioni internazionali come Greenpeace, Amnesty International e la Fondazione Robert.F. Kennedy.
Con UNICEF ad Haiti è stata responsabile dell’emergenza sanitaria per l’epidemia di colera e responsabile regionale delle emergenze sanitarie in ‘Africa occidentale e centrale. Ha condotto diverse ricerche e valutazioni nel campo delle epidemie, delle emergenze sanitarie e della salute umanitaria per organizzazioni come l‘OMS, IOM, il movimento della Croce Rossa, Save the Children e altre organizzazioni internazionali. La Signora Massai ha ricevuto il “Fiorino d’oro” come medaglia d’onore della Città di Firenze quando prestava servizio come Capo Missione in Indonesia per Medici Senza Frontiere.
Al momento è ricercatore senior presso la Johns Hopkins University, a Washington DC; le abbiamo rivolto alcune domande sulla situazione in Usa in riferimento al coronavirus
-Quale è la sua personale opinione sul COVID-19?
-Sono anni che mi occupo di epidemie nel mondo, da quelle di colera, morbillo, meningite, zika ed ebola. Le epidemie a trasmissione aerea, sono pero’ ancora più’ difficili da combattere. Un po’ come il vento, non si può’ fermare. Quello che posso dire è che nonostante gli sforzi degli ultimi anni da parte dei paesi a prepararsi per scenari simili a questo, poco e’ stato fatto, se non per prevenire, almeno per mitigare le conseguenze. I disinvestimenti nella sanità pubblica di molti paesi non sempre hanno permesso di avere un sistema sanitario capace di rispondere con efficacia.
Le misure di isolamento e la chiusura delle frontiere hanno permesso di non far collassare i già’ fragili sistemi di salute, ma allo stesso tempo creeranno delle ripercussioni a livello economico che faranno sentire questa crisi per un lungo periodo.
Si sapeva che sarebbe arrivata una pandemia di questo livello, certo non si poteva prevedere esattamente quando, ma ci si doveva e poteva preparare meglio.
-Quale è la situazione negli usa?
In questo momento la situazione negli USA è simile a quella dell’Italia. Lo dimostra il fatto che il numero dei morti negli USA ha superato quello italiano.
La sanità americana pero’ e’ privata e non tutti hanno accesso alle cure.
Il livello di disoccupazione sta arrivando a livelli da recessione e gli ammortizzatori sociali che sono presenti in Italia, qui non ci sono. I lavoratori sono molto meno protetti di quelli Italiani e spesso se perdi il lavoro perdi anche l’assicurazione medica.
Il numero dei casi continuerà ad aumentare nelle prossime settimane e poi si stabilizzerà. Alcuni stati però non hanno ancora messo in pratica le misura di contenimento.
Città come NY vedono il numero di casi crescere esponenzialmente, ora tutto è chiuso in una città dove fino a qualche giorno fa tutto era aperto 24 ore su 24.
In generale come in molti altri paesi, inizialmente questo virus non è stato preso seriamente e le misure di contenimento sono state attivate in ritardo.
Può parlarci della sua recente missione riguardante il COVID-19?
Il progetto a cui mi sto dedicando, si occupa di migliorare la capacità di risposta alle epidemie.
Poco prima che chiudessero le frontiere sono andata in Vietnam e in Indonesia per condurre dei seminari per aiutare le varie organizzazioni umanitarie a prepararsi per rispondere al COVID-19. Dopo quel viaggio abbiamo condotto altri 4 seminari in Africa del Sud e dell’est, in medio oriente e nella Repubblica Democratica del Congo, questi ultimi li abbiamo organizzati online.
Le tematiche che abbiamo affrontato sono soprattutto come fare dei piani di “business continuity” cioè’ come fare fronte alle difficoltà di risposta durante la pandemia, come proteggere lo staff e come trattare i malati nelle comunità. Sfortunatamente l’epidemia si è diffusa più velocemente di quanto avessimo previsto, ma noi non ci fermiamo, proprio per questo il progetto continua tuttora a distanza, cercando di aiutare chi ne ha più bisogno.
–Quali sono le principali differenze riguardo le misure attuate per contenere il virus tra Europa e Stati Uniti?
Non ci sono grandi differenze e le misure messe in atto sono le stesse, il problema è che in America i numeri sono molto più’ grandi, questo perché la popolazione americana è cinque volte quella italiana. La grande differenza è l’accesso alla sanità. Lo stato a questo punto ha stanziato molti fondi per la protezione di coloro che hanno perso il lavoro, per le aziende che hanno chiuso e per le grandi compagnie. Speriamo che questi fondi siano abbastanza per soddisfare la quantità richiesta.