Incredibile, ma vero: anche i filosofi erano e sono esseri umani. La biografia di Cartesio, prima di una serie per avvicinare i grandi del pensiero a chi di solito …pensa poco
Un filosofo visto come uomo, non come una sua frase, un suo pensiero. Strano no?
È questa la chiave per avventurarsi nella lettura di Solo. Il falso inedito di Descartes, scritto dall’abile penna di Daniele Ramadan. Cartesio come uomo solo. Cartesio che, per mezzo della cornice della solitudine, dipinge il quadro del suo pensiero.
Abbiamo intervistato l’autore per andare ancora più a fondo nel mistero della vita del filosofo.
Partendo dall’inizio, come è nato questo progetto?
Il progetto si chiama Vite Riflesse e nasce nell’ambito dell’Università di Filosofia di Firenze. Si tratta di una collana di libri ideata e diretta dalla professoressa Roberta Lanfredini. È pubblicato da Mimesis Edizioni, che si annovera tra i più attivi editori nell’ambiente filosofico italiano. I libri della collana trattano quel rapporto speciale che intercorre tra la vita e il pensiero dei grandi filosofi, usando però uno strumento d’eccezione per la ricerca filosofica: non la saggistica, bensì la narrativa e questo rende il progetto davvero originale. L’uso della narrativa permette di addentrarsi nel punto di vista del filosofo, sia per il ricercatore che intende comprenderlo meglio, sia per il lettore interessato a vivere e a leggere una bella storia. I filosofi infatti diventano finalmente veri. Questi uomini e donne sono stati dei grandi pensatori; ciò significa che il loro pensiero è arrivato a toccare lidi elevati, profondità inaudite, difficilmente immaginabili dalla maggior parte delle persone. Hanno disgelato verità altrimenti celate. A volte il loro pensiero è stato universale, altre eccentrico, spesso pericoloso. Questo ha reso le loro vite delle esistenze uniche e spettacolari, più di quanto sia lecito immaginare. Lo stesso vale per il mio Cartesio, nel quale il legame tra la vita e il pensiero ha permesso di far emergere una storia mai raccontata prima in questi termini.
Qual è stato il suo primo libro?
Prima di addentrarmi nei miei studi di filosofia all’università, avevo già avuto da ventenne la fortuna di scrivere e pubblicare altri libri ma questi erano di stampo prettamente narrativo. Già in quei primi libri era in nuce la mia idea di letteratura, che conservo tutt’oggi. Nel caso del romanzo d’esordio, Il Dio del mare, ricordo ad esempio che volevo scrivere un libro di racconti. In quel periodo avevo tra le mani lo splendido Gente di Dublino di James Joyce, tuttavia reputavo che i libri come quello fossero artificiali e non rispecchiassero per nulla l’andamento reale della vita, divisi come sono in “racconto Primo”, “Secondo”, “Terzo”, tra un episodio e l’altro viene eretto un muro innaturale. Allora, per ovviare a questa artificialità, una buona narrativa dovrebbe rispecchiare con maggiore naturalezza quelle dinamiche della vita che si propone di raccontare. L’ordito narrativo non dovrebbe seguire un destino predeterminato, ma dovrebbe essere frammentato, parziale, latente. Come accade nella vita reale, infatti, non si saprà mai davvero tutto di una persona o di una vicenda. Di alcune sapremo di più, di altre meno. Di alcune crederemo di sapere, e invece non sappiamo. Se ci aspettiamo che il romanzo sia il mezzo per fornirci una conoscenza certa e oggettiva, ci inganniamo e cadiamo in un’illusione. La sola azione autentica che è concessa al lettore consiste in una serie di percezioni, momentanee e puntuali, come accade nella vita reale. La somma di queste percezioni va a comporre un unico e grandioso flusso che in ultima istanza chiamiamo “vita”, “esistenza”, “esperienza di”. Insomma, una buona letteratura, secondo me, non dovrebbe presentarsi come una conoscenza oggettiva, ma soggettiva. Per questo, con il crescere, ho avvertito il bisogno di avvicinarmi a conoscenze che la sola letteratura non poteva darmi e mi sono avvicinato alla filosofia. I miei interessi si sono rivolti oggi alle teorie della conoscenza, allo studio delle società distopiche, al rapporto tra tecnologia e umanità. Non ho però dimenticato la narrativa, e anzi spero di continuare a coltivarla con temi più radicati.
Il titolo del libro “Solo” è davvero emblematico. Può spiegare il significato?
Tornando al mio ultimo libro su Cartesio, “Solo” è la parola che riesce a racchiudere sia l’aspetto preminente della vita del filosofo sia la fondazione della sua filosofia. La vita di Cartesio è andata delineandosi all’insegna della solitudine. Da piccolo trascorreva la maggior parte del tempo nel letto della sua camera dai Gesuiti, da solo. Ha poi viaggiato per l’avventurosa Europa del 1600 definendo se stesso come uno “Spettatore”, come colui il quale indossa una maschera per non essere visto dagli altri. Nonostante fosse francese e cattolico, decise di vivere in esilio volontario nella riformata Olanda, lontano da tutti, riferendosi a quei luoghi come a “son ermitage”, ossia il suo eremo. Insomma, i momenti filosofici più alti, Cartesio li ha avuti in solitudine. Ne è un esempio l’inverno del 1619, in piena “piccola glaciazione”. A causa di una forte tempesta, fu costretto a rimanere chiuso in una “poele”, ovvero una casa riscaldata per mezzo di una stufa, per settimane nel cuore della Germania. Ed è proprio in questi momenti di solitudine, dal letto, alla stufa, all’eremo, che possiamo dire che nasce la filosofia cartesiana. Dunque non solo la vita, ma anche il pensiero di Descartes ruota intorno alla parola “Solo”. Il fondamento della sua filosofia conduce infatti al Solipsismo. Cartesio riesce a trovare nel proprio pensare una certezza chiara e distinta e lo esprime nella celebre frase Cogito ergo sum (penso dunque sono). Tuttavia si tratta per lui di una certezza irripetibile poiché non possiamo estenderla anche alla mente dell’altro. Davvero un bel problema per tutta la filosofia a venire.
Quali altri filosofi le piacerebbe raccontare?
Mi piacerebbe raccontare in effetti le vite di molti filosofi e soprattutto approfondire il loro pensiero al fine di usarlo come chiave di lettura per il nostro presente. L’ho fatto con Cartesio, riscontrando in lui l’origine di molti aspetti del nostro tempo, dalle tecnologie imperanti al rapporto del soggetto con l’alterità. Ma penso anche a Leibniz, Spinoza, Sartre, Heidegger, Simon Weil, a tutti i moderni che entrano a buon diritto nel nostro nuovo millennio poiché lo hanno plasmato dalle fondamenta. Le loro vite infatti verranno raccontate nella collana di “Vite Riflesse” con le prossime pubblicazioni, anche se non sarò io a scriverle. Per quanto mi riguarda, nonostante studi in particolare i filosofi moderni, ho una propensione per gli antichi. Credo che studiare la vita di questi grandi personaggi non debba servire soltanto sotto un punto di vista prettamente conoscitivo, ma a fortiori è l’etica a muovere la vita del filosofo. Il filosofo è quell’incognita imprevista nel decorso del tempo, il suo pensiero è spesso contrario agli usi della sua epoca. Per questo motivo è ritenuto talvolta comico, in altre occasioni pericoloso. Gli antichi ci hanno insegnato che la filosofia deve diventare modus vivendi e il vero filosofo si prende la responsabilità del proprio pensare diversamente. Il giusto mezzo, di stampo aristotelico o comunque greco, è per me la più alta forma di responsabilità di vita.