Il suo romanzo Tanden scritto per beneficenza: tutti i ricavati andranno alla onlus Anticito, una associazione che si batte contro il citomegalovirus
Il conte Niccolò Capponi è uno storico, saggista e scrittore fiorentino. Autore di numerosi libri riguardanti la storia toscana e non solo. Discende da tre delle famiglie fiorentine più importanti per la storia della città: Machiavelli, Guicciardini e naturalmente Capponi. Con il palazzo gentilizio quattrocentesco come palcoscenico (e che palcoscenico!) l’autore ha gentilmente concesso al Leomagazine il piacere di una chiacchierata in sua compagnia (e di un buon bicchiere di vino).
Considerando l’importanza storica della sua famiglia sorge spontaneo chiedersi: la sua professione per l’appunto di storico, ha un qualche rapporto con le sue radici?
Diciamo di sì. Già fin da piccolo ero a contatto con la storia, grazie anche all’archivio di famiglia. Iniziai a frequentarlo appunto all’età di dieci anni seppur capendoci poco (stiamo parlando di documenti del XV°-XVI° secolo). Avevo però una buona scuola in casa: Mio padre, che grazie alla sua grafia quasi illeggibile rappresentò un buon allenamento per riuscire poi a leggere i documenti di archivio. Ho conosciuto quindi alcuni grandi personaggi del passato in maniera persino più dettagliata di quelli a me contemporanei. Mi sentivo molto più vicino a Cosimo I° dei Medici che non ad esempio a John F. Kennedy. Leggendo i documenti pian piano si comincia anche a comprendere l’umore di ua persona nel momento in cui scrive, si capisce se ti sta prendendo in giro, o se sta dicendo la verità. La coscienza di avere una storia di famiglia mi ha aiutato come storico e mi ha aiutato soprattutto a guardare appunto alla storia in modo un po’ disincantato. Perché sì, in archivio sono scritte anche le malefatte dei personaggi del passato, e di queste vi assicuro che ce ne sono tante. A me piace riderci sopra, perché bisogna riderci sopra. La storia è insegnata spesso in maniera molto seria, ma può essere anche estremamente divertente. Persino le cose piuttosto tristi, piuttosto dure col tempo diventano anche divertenti: c’è chi infila la testa dentro i cannoni e altri che per scappare dalla polizia finiscono in una gabbia di tigri del bengala, insomma la storia non è certo povera di sorprese.
Tra tutti i suoi libri, qual è l’evento o il personaggio che più l’ha appassionata?
Beh sai, ogni libro è un’amante e ti dura il tempo che lo scrivi, poi devi passare ad altre relazioni. Non ci può essere un libro “prediletto” perché ognuno di essi è frutto di un momento. Ce ne sono però alcuni come “Lepanto 1571” o “I berretti di Bonnie Dundee” dei quali mio padre diceva: “Questi sono belli perché li ha scritti non solo con la testa, ma anche col cuore”. I libri scritti col cuore hanno infatti tutta un’altra dimensione rispetto a quelli scritti solo con la testa, che possono essere belli, ma si sente, si percepisce che manca qualcosa. Non sbaglia infatti il motto di Nembo (183° reggimento paracadutisti dell’esercito Italiano): “E per rincalzo il cuore”.
Lei discende anche dalla famiglia Machiavelli ed è proprio del famoso Niccolò che parla il suo libro “Il principe inesistente”, perché questo titolo?
In realtà “Il principe” di Machiavelli nasce per caso, o meglio per una contingenza. Come disse Niccolò stesso: “Se anche i Medici mi facessero voltolare un sasso…”, lui scrisse questo libro infatti per avere un impiego e lo scrisse in una forma che potremmo definire “satirica”. Il “De Principatibus”( titolo originale dell’opera) è infatti anche una sorta di satira verso i “manuali del buon governo”. I principi italiani erano stati machiavellici per almeno duecento anni, ma son quelle cose che tutti sanno e che nessuno dice. Machiavelli non dice niente che la gente già non sapesse, lo scandalo è che lui “mette in piazza” i segreti del mestiere. Alcune parti del libro sono anche copiate (cosa che all’epoca era normalissima e in alcuni casi addirittura richiesta) dal “felice progresso di Borso d’Este” scritto da Michele Savonarola, nonno del più noto fra’ Girolamo. Questo per dire che la genesi del “Principe” non è questa invenzione radicale, questo “punto di rottura” che viene spesso osannato dai politologi. Machiavelli riscrisse il Principe anche in latino modificando varie parti, ma come sempre “La moneta cattiva scaccia quella buona” e di quest’ultima versione non se ne ricorda più nessuno.
Lei sostiene anche, nel suo libro, che Machiavelli fosse fondamentalmente “inesperto” in politica, dico bene?
Machiavelli dal punto di vista della politica applicata fa tutte le scelte sbagliate. Lui era fondamentalmente un sognatore e non è strano che sia così. Suo padre si era tenuto fuori dalla politica, lui viene catapultato alla cancelleria sull’onda dell’antisavonarolismo del 1498. Niccolò non aveva nemici perché il babbo non se li era fatti, ma arriva a misurarsi con questa carica che fondamentalmente è ancora quello che gli inglesi chiamerebbero “school boy”, è insomma un “monellaccio” in politica e lo rimarrà per tutta la vita. Come gli disse Giovanni dalle bande nere: “Messer Niccolò, voi siete bravo a scrivere, io son bravo a fare”.
Il suo ultimo libro “Tanden” si discosta un po’ dal carattere storico delle sue opere, di cosa parla questo romanzo?
È un libro che s’incentra fondamentalmente su un rito di passaggio che il protagonista si ritrova suo malgrado a dover passare. Il protagonista è un giornalista che deve fare un’inchiesta sul softair per il suo giornale (che lo tratta come una pezza da piedi), viene quindi mandato in un “villaggio fortificato”( costruzioni molto caratteristiche della toscana) in cima ad una collina. Qui dovrebbe avvenire l’addestramento per queste gare di softair sulle quali il nostro protagonista alle prime armi dovrebbe investigare. Lui si ritrova quindi in mezzo a quella che definirà una gabbia di matti. Tra i vari personaggi incontrerà una ragazza kendoka (con molti conti irrisolti col suo passato) che lo massacrerà per un mese dicendogli che “deve entrare nello spirito”, con un certo disprezzo tra l’altro. Riuscirà quindi il nostro protagonista a scoprire la verità dietro quello che viene definito un “delitto impossibile”, compiuto proprio all’interno di quelle stesse mura che ora lo isolano dal mondo esterno?
C’è però un’iniziativa di beneficenza dietro questo libro se non sbaglio, com’è nata quest’idea?
L’idea è nata da un’amica di famiglia, madre di un amico di mio figlio. Lei prese il citomegalovirus che, detto in parole povere, è un virus che può danneggiare gravemente il feto in caso di gravidanza. Passando per varie iniezioni di anticorpi e altre cure mediche riuscì a migliorare: il bambino ebbe comunque qualche problema, ma comunque minore di quelli che avrebbe avuto senza le cure adeguate. Tuttavia le terapie per questo virus sono tutt’altro che economiche. Dopo quest’esperienza lei fondò l’associazione onlus Anticito per aiutare i meno fortunati che si trovassero ad affrontare la sua stessa situazione. Io quindi per aiutare quest’associazione decisi di fare la cosa che mi riesce meglio: scrivere.
Con la collaborazione di Leonardo Giordano