Siamo ormai all’undicesimo weekend di proteste antigovernative a Hong Kong, evidenziate dal recente sciopero agli aeroporti, le cancellazioni di numerosi voli e dagli episodi di violenza da parte della polizia ma sono anche passati 30 anni dalla rivolta di Piazza Tienanmen che portò ad un intervento militare con più di 300 morti: si teme una seconda strage.
Le proteste sono però di dimensioni enormi, si parla di centinaia di migliaia di persone, in alcuni casi due milioni, scese per strada a protestare contro la nuova legge di estradizione.
Ma c’è molto di più di una legge e tutto ciò parte dalla condizione stessa di Hong Kong, una regione amministrativa speciale della Cina formatasi nel 1997, quando l’Inghilterra la restituì secondo uno speciale accordo chiamato Un paese, due sistemi.
Questo trattato stabilì l’autonomia di Hong Kong e la sua libertà di parola, voto, pensiero, stampa e opinione, a differenza dell’autoritarismo cinese.
L’accordo sarebbe dovuto rimanere valido fino al 2047, quando è previsto che Hong Kong diventi a tutti gli effetti parte della Cina, se non fosse che il governo di quest’ultima sembra non aver intenzione di aspettare.
La ragione principale è la diminuzione dell’influenza economica di Hong Kong sul mercato cinese, prima molto più rilevante ma messa da parte dall’enorme sviluppo delle metropoli cinesi destinate alla produzione di massa.
In altre parole, la Cina non ha più ragioni di rispettare l’indipendenza di Hong Kong in quanto è ormai molto più ricca e potente.
Già nel 2018 è stato aperto il ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao, una costruzione impressionante di ben 55 km voluta dalla Cina per facilitare i collegamenti tra i tre paesi.
Il fatto che la Cina abbia usufruito dei terreni di Hong Kong come se ne avessero i pieni diritti ha scatenato un’ampia rivolta con proteste precedenti a quelle attuali.
Adesso si protesta per la legge di estradizione che il governo cinese vuole imporre forzatamente su Hong Kong, cosa che metterebbe a rischio i numerosi attivisti a favore dell’indipendenza in quanto sarebbero arrestati e portati in Cina, dove facilmente se ne perderebbero le tracce come successo ai loro colleghi della madrepatria.
Il pretesto nasce da un omicidio: nel febbraio del 2018 una coppia di Hong Kong passò nove giorni in un albergo a Taipei, in Taiwan. Alla fine del soggiorno venne scoperto l’omicidio della ragazza probabilmente da parte del compagno, ma le leggi dei due paesi, Hong Kong e Taiwan, non permettevano l’estradizione e quindi la possibilità di portare a fine le indagini.
La Cina ha quindi colto l’occasione per proporre una legge che permettesse ciò, ma anche l’estradizione tra Hong Kong e il proprio paese.
Inizialmente la governatrice Carrie Lam aveva accettato l’idea, ma in seguito alle proteste è stato deciso di sospendere la proposta.
Adesso le proteste continuano anche con l’intento di rendere davvero la regione a statuto autonomo indipendente dal punto di vista politico, in quanto il parlamento di Hong Kong è governato in una buona parte dalla Cina attraverso pretesti economici.
Ci sono stati episodi di violenza, scontri con la polizia, proteste ai confini e agli aeroporti e addirittura è iniziata una petizione per il boicottaggio del nuovo remake Disney Mulan, interpretata dall’attrice Liu Yifei che si è schierata contro i manifestanti.
Nel Frattempo Donald Trump ha chiesto al presidente cinese Xi Jinping di trattare con i manifestanti.
Il risultato è stata una promessa di non ripetere le stragi precedenti ma non si esclude, come è già molto evidente, l’uso della forza.
All’interno di alcune compagnie con base a Hong Kong e a stretto controllo cinese, come la Cathay Pacific, si registrano licenziamenti di coloro che partecipano alle manifestazioni, con conseguenti oscillazione nell’economia asiatica.
Ma alla fine coloro che davvero dovrebbero essere ascoltati sono i giovani di Hong Kong, le persone che corrono rischi e perdono opportunità di lavoro per garantire un futuro più libero e migliore.
Sono per la maggior parte persone senza nome e senza presentazioni, ma le loro parole colpiscono: possiamo ancora fare la differenza.