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Piccole storie quotidiane: Lo studente sovraccarico e l’autista gentiluomo. Quando la cortesia è un valore…

Che giornata ragazzi. Da una parte stancante, ma dall’altra divertente. Anche se sarebbe stato meglio non svegliarsi dieci minuti prima della sveglia, cosa comunque comprensibile, data l’ansia della prova in itinere che avrei sostenuto di lì a un’ora. Ricordo ancora il terrore di non aver sentito la suoneria del telefono e aver mancato la prova universitaria. Oh beh, per fortuna il resto della giornata è stato tutto in discesa, con dapprima un pranzo all‘All You Can Eat più vicino con amici, e subito dopo una lunga sessione di Dungeons & Dragons sempre con loro. Forse fin troppo lunga, dato che abbiamo finito alle 9:00 di sera. Dopo venti minuti di camminata sono però tornato a casa, e da qui il dubbio: treno o non treno? Se non lo avessi preso la sera stessa, mi sarei dovuto svegliare presto la mattina dopo per arrivare in tempo a Firenze. In tempo per cosa? Il pranzo da mia nonna. Non si deve mai mancare ai pranzi delle nonne. Mai. Pertanto, guardati gli orari dei treni, entro nell’ottica di levare le tende. Il treno parte alle 10:30 e arriva poco prima di mezzanotte, e dato che sono quasi le 9.30 decido di prendermela comoda per preparare i bagagli. “Anche se sono pieno di roba ce la farò tranquillamente, sono il largo anticipo” penso. Passano quindici minuti, e con zaino sulle spalle, sacchetto in una mano e valigia nell’altra scendo le scale del mio condominio e esco. Cammino per il marciapiede fino a raggiungere l’angolo e svoltare a destra. Da lì in poi la strada da seguire è praticamente dritta verso la stazione di Pisa Centrale. Pochi istanti dopo vedo distrattamente con la coda dell’occhio un autobus svoltare l’angolo ed entrare nella stessa via che stavo percorrendo io. Non me ne stupisco: pochi metri più avanti c’è una fermata, e probabilmente è la sua. La cosa non mi interessa più di tanto, dato che, essendo la stazione distante venti minuti da casa mia, non l’ho mai preso non avendone bisogno. Proseguo quindi normalmente verso la mia meta. “BEEP” sento da sinistra. Eccoci. Attualmente non ci sono altre macchine per strada. A chi sta suonando il bus? A me? E perché!? Cosa avrò mai fatto!? Sono sempre stato un bravo pedone, pago sempre il biglietto quando uso un mezzo di trasporto pubblico… va bene, lo ammetto, a volte attraverso con il rosso, ma quando non ci sono veicoli nel raggio di centinaia di metri né da una parte né dall’altra mi sembra che quella luce rossa sia lì solo per schernirmi! “Fermo Alessio, rifletti: ci sono altre due persone davanti a te, una sul tuo stesso lato del marciapiede e una dall’altra parte della strada. Sicuramente si starà riferendo a una di loro” cerco di convincermi. Decido di girarmi comunque in direzione del conducente per accertarmi che la sua attenzione non sia rivolta a me. Ma con mio iniziale sgomento, vedo che i suoi occhi volevano proprio incrociare i miei. “Vai, è finita” constato mio malgrado. Ma per quanto mi sforzi, non mi riesce di associare la sua espressione a quella di un genitore pronto a fare la ramanzina al figlio. Il pilota del mezzo comincia infatti a gesticolarmi muovendo il braccio destro, prima indicando me muovendo avanti e indietro l’arto, poi chiudendo il pugno eccetto il pollice e puntandolo verso i posti a sedere a lui antecedenti. Comprendo il senso dei suoi gesti, traducendoli fulmineamente in “vuoi che mi fermi prima per farti salire?” Al che la mia risposta è quasi automatica: “no non serve, ma grazie mille” gli faccio intendere col braccio sinistro, menomato nei movimenti a causa del sacchetto. L’autista mi saluta quindi con l’arto di prima, e accelera il mezzo. Inizialmente non do molta importanza all’accaduto, ma poi, rimuginandoci nel mio percorso verso la stazione, rimetto insieme i pezzi. Quando ha girato l’angolo, il conducente deve avermi visto avanzare verso la fermata bardato come un mulo (anche se per me è normale viaggiare con numerosi carichi addosso), pensando che volessi prendere l’autobus per arrivare alla stazione in tempo e prendere il treno. E dato che alla fermata non c’era anima viva ad attendere il mezzo di trasporto, deve anche aver pensato che, fermandosi prima, mi avrebbe potuto far salire immediatamente senza costringermi a correre verso di lui al grido di: “Aspetti un attimo! Aspetti un attimo!”. Un comportamento che, onestamente, mi ha sorpreso. Non tutti gli autisti lo farebbero, anzi, non sono poi così rare le volte in cui invece questi, pur vedendoti galoppare verso la fermata vuota, decidono di ignorarti e passare a quella successiva, lasciandoti con l’amaro in bocca mentre tenti di riversarglielo contro a suon di insulti. Non c’è una morale a questa storia, se non il fatto che sono proprio questi gesti che ti fanno tornare fiducia nell’umanità. Grazie, anonimo conducente. Anche se alla fine non avevo bisogno di salire, sono contento che tu abbia pensato a me. La reputazione che ho di Pisa ha guadagnato qualche punto in più grazie al tuo gesto.

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