-Andiamo via? –
-Non possiamo ! –
-E perché no?
-Dobbiamo aspettare Godot ! –
L’ attesa che i protagonisti Vladimiro (interpretato da Luciano Virgilio) e Estragone (interpretato da Antonio Salines) devono sostenere, un attesa vana, estenuante e inconcludente. Questo è il succo di “Aspettando Godot”, il dramma di Samuel Beckett, ambientato nella Parigi del 900’, che arriva alla Pergola di Firenze sotto la regia di Maurizio Scaparro. Didi (Vladimiro) e Gogo (Estragone) sono due uomini di strada, poveri senzatetto che insieme cercano di affrontare in compagnia la vita. A legare i due c’è un forte sentimento di amicizia e ricordi del passato, ai quali i due più volte si aggrappano per ritrovare un semplice sorriso, misto di benessere e malinconia. Entrambi senza impegni, passano le giornate in quello che sembrerebbe essere un parco, allestito con semplici oggetti e un albero centrato spoglio, che si erge nel mezzo del palco come a simboleggiare la Tour Eiffel, simbolo della capitale francese. All’ apparenza può risultare banale, ma è tutt’ altro che tale; si intravede un tentativo di connessione fra il mondo della povertà e quello “reale”.
Unico interesse dei due è l’ attesa di Godot, un arrivo che più volte sembra stia per compiersi ma che tutte le volte si dimostra fasullo. In certi casi la narrazione può risultare poco attiva e monotona, complici anche le battute ripetitive degli attori, ma tutto è necessario per rendere l’ attesa tale e trasmettere l’ angoscia del palco alla platea. Godot è una figura avvolta nella nebbia del mistero che non si mostra nella scena ma ne è protagonista esterno. Rappresenta per Gogo e Didi il loro avvenire e la possibilità di una vita migliore e dignitosa, di poter lasciare la strada per poter vivere in una vera casa come suoi ospiti. Mai è stato più vero il detto la speranza è l’ ultima morire: nonostante le diverse delusioni, i due senzatetto non demordono mai. Anche quando sicuri del venire di Godot, si ritrovano davanti Pozzo (Edoardo Sirvaro) un ricco proprietario terriero e il suo schiavo-facchino Lucky (Fabrizio Bordignon), che viene trattato in modo disumano e irrispettoso dal suo padrone non curante del suo volere. L’ introduzione di questi personaggi ha il fine di smuovere la scena, rendendola più dinamica fin da subito: un’ entrata in scena veloce e attiva, capitanata da Sirvaro che dimostra di poter prendere in mano la recitazione, ritagliandosi il suo spazio grazie alla perfetta immedesimazione col personaggio : la sua ignoranza verso l’ altruismo.
A riaccendere la speranza è il messaggero di Godot, che a fine del primo atto porta buone notizie annunciando l’ avvento dell’ atteso il giorno seguente nel solito posto. Una situazione ambigua che sembra seguire lo stesso pensiero di inizio scena, quando sia Gogo che Didi al quanto smemorati hanno dei ricordi frammentari delle informazioni riguardanti l’ incontro che paiono essere le medesime.
Situazione che da ambigua diventa caotica quando, a fine spettacolo lo stesso messaggero torna nuovamente negando di essere stato lì la sera prima. Vladimir confuso si interroga se questa attesa sia davvero qualcosa di reale e razionale o semplicemente la triste morale della vita, passata ad attendere un qualcosa che potrebbe non arrivare mai, spendendo il tempo inutilmente in cose futili e ritrovarsi al punto di non ritorno rimpiangendo gli sforzi gettati al vento. Riflessione per la quale si può considerare moderna ed eterna quest’ opera, figlia del 900′ e madre della nostra epoca, basata sull’ aspettativa e sull’ attesa.
Sicuramente un capolavoro per la sua semplicità ed efficacia, l’ opera ha divertito un teatro quasi al completo. Merito di ciò soprattutto è l’ apparente ingenuità di Gogo, al quale fa fronte invece la determinazione di Didi, sempre avvolto dalla speranza. L’ attore Antonio Salines (Gogo) riesce a sembrare stupido senza esserlo, come se dormisse sulla scena e di colpo svegliandosi riesce a comprendere solo gli ultimi istanti trascorsi, rispondendo in maniera simpatica e inaspettata. Godot invece, inserito in un discorso più ampio e generalista è il desiderio presente, forte e soggettivo che ognuno ha. Un’ entità astratta che ci tenta e si mostra solo da dietro le quinte (nel caso dei nostri due vagabondi con il messaggero). Vladimir più che Estragone risulta esserne vittima. Virgilio (Didi) si presenta come il più ingenuo dei personaggi, nelle sue parole si intravede la malinconia del passato segnate dalla continua aspettativa.
Nota importante da sottolineare è la bravura degli attori, ottimi interpreti di un’ amicizia che si manifesta reale e sincera e di una tale povertà che permette di fantasticare.
La traduzione è di Carlo Fruttero, la scena di Francesco Bottai, i costumi di Lorenzo Cutulì e le luci di Salvo Manganaro.