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Una memoria di settantaquattro anni fa, un’eulogia, un avvertimento. La promessa di non essere ciechi.

Anno 1933. Adolf Hitler riesce a farsi eleggere cancelliere del Reich. Un tipo bizzarro. Precedenti penali, una certa tendenza al fanatismo. Intelligenza nella media, niente di speciale. Ma un uomo con un progetto preciso al
millimetro e una determinazione che ha del diabolico. E uno così è proprio ciò di cui la Germania, ancora coperta di croste dalla prima guerra mondiale, ritiene di aver bisogno.
Il grande capo dà l’ordine. Heinrich Himmler, presidente della Polizia di Monaco, esegue: 22 marzo 1933, si apre Dachau. Campo di concentramento nazista, primo nel suo genere, Il lavoro rende liberi. E così ha inizio.
Avanti veloce.
1945, gennaio. L’Armata Rossa avanza, i nazisti battono in ritarata verso ovest, come un’onda che scivola via dal bagnasciuga. Il maresciallo Koniev e i suoi entrano ad Auschwitz. Scrutano nell’abisso, e dal fondo dell’abisso,
dopo dodici anni, i reduci allungano le mani verso uno spicchio di luce del giorno. E così comincia a finire. Con dodici anni di ritardo.

Avanti molto, molto veloce.Settantaquattro anni dopo. Settantaquattro anni è un sacco di tempo. Oltre sei volte quei dodici anni in cui i campi di concentramento sono rimasti in attività. La maggior parte delle persone che hanno vissuto e denunciato il nazismo non ci sono più, e qualunque cosa ci sia dall’altra parte, ci si può solo augurare che abbiano trovato la pace che era stata loro sottratta in questo mondo.
Ma noialtri continuamo a fare silenzio in onore di una memoria vicaria di un orrore incomprensibile nella sua atroce irrazionalità. Per rispetto per i defunti, e per chi il privilegio di dimenticare non ce l’ha. E nel nostro minuto di raccoglimento guardiamo al passato. Settantaquattro anni fa (un sacco di tempo). E guardiamo al futuro. Ma non sappiamo quando.
Il male di un singolo non miete milioni di vittime. 6 milioni di Ebrei. 4 milioni tra Polacchi, Ucraini e Bielorussi. 3 milioni di prigionieri di guerra sovietici. 2 milioni di prigionieri politici. Centinaia di migliaia tra iugoslavi, Rom, disabili, omosessuali e altri “indesiderabili”. Milioni, milioni, milioni di minuti di silenzio per tutti quei nomi rubati.
In un mondo perfetto, il male di un singolo viene soffocato da un’immunità di gregge sociale che impedisce a quel singolo, fosse anche il più perverso genio del male che il genere umano abbia mai partorito, di fare milioni di
vittime.
Hitler non era un genio del male. Questo mondo non è perfetto. Hitler, uomo mediocre, banale malvagio, sarebbe rimasto un invasato di artista fallito, se le circostanze non avessero giocato a suo favore.
Settantaquattro anni, e non ha più senso puntare il dito sul popolo tedesco, sulle potenze europee vincitrici della prima guerra mondiale, o sugli altri morti e sepolti che potrebbero aver facilitato, più o meno indirettamente,
l’ascesa al potere di un maniaco pericoloso.
Le grandi tragedie sono opera dei malvagi tanto quanto dei ciechi.
Mezzogiorno. In piedi, in silenzio, un minuto. Un minuto per quei milioni di nomi.
Una memoria di settantaquattro anni fa, un’eulogia, un avvertimento.
La promessa di non essere ciechi.

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