6° TAPPA A FIRENZE TRA INNOVAZIONE TECNOLOGICA, RICERCA E IMPRESE
Firenze, 22 Novembre 2018 – Bologna, Ancona, Milano, Mestre, Roma e Firenze: sono queste le città che, tra il 6 e il 22 novembre, hanno ospitato la prima edizione di Var Evolution, il roadshow promosso da Var Group partner delle imprese per l’innovazione ICT (Information and Communications Technology), presente su tutto il territorio nazionale con 23 sedi, 1600 collaboratori e 10.000 clienti.
La formula proposta da Var Group ospita, in qualità di relatori, docenti universitari, start up, i più importanti brand internazionali e imprenditori, perché mediante un dialogo aperto fra questi si instaura una crescita aziendale nel miglior modo. Var Group si pone, dunque, come mediatore fra le aziende, di piccole e medie dimensioni, e l’innovazione, semplificandone il processo. Per questo, protagonisti di Var Evolution sono gli imprenditori, le start up, i rappresentanti delle università, accanto ai massimi esponenti dell’ecosistema dell’innovazione in Italia.
Noi abbiamo partecipato alla sesta ed ultima tappa a Firenze; tra i banchi del polo universitario nel cuore del quartiere di Novoli, il tema è stato:
Industria 4.0 Intelligenza Artificiale, Robotica, Cloud, IoT, Digital Security con la Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa.
All’inizio del convegno Francesca Moriani, amministratore delegato di Var Group, ha comunicato di aver recentemente stipulato un accordo di partnership con la società calcistica Fiorentina rappresentata dal vicepresidente Gino Salica. Alla conclusione della conferenza abbiamo posto alcune domande a Francesco Falaschi, Innovation Manager di Var Group:
Innanzitutto… Chi è Francesco Falaschi?
Istituzionalmente sono l’Innovation Manager e responsabile del dipartimento di ricerca e sviluppo interno a Var Group.
Ricerca, sviluppo e innovazione significano avere a che fare con un ecosistema di tantissime aziende, start up, spin off universitarie e università stesse per coordinare tantissime iniziative su tante tecnologie che poi possono essere portate a valore all’interno delle aziende. Dall’altra parte ci sono vari progetti di ricerca e sviluppo che vanno a individuare lo stato dell’arte di certe tecnologie per poi portarle su tessuto imprenditoriale.
Dato che la piccola e media impresa è il 90% del tessuto industriale italiano, secondo te a che punto è la Digital Transformation, intesa come digitalizzazione, in Italia?
Se penso alla Digital Transformation come la intendo io, siamo veramente messi male. Prima all’evento si parlava del 9%, io mi attengo a quella percentuale lì. Poi il tessuto culturale italiano ha tante differenze, la piccola impresa generalmente ha una mentalità più chiusa; questo non è sempre vero, però ovviamente, com’è stato detto anche in precedenza, le multinazionali “tascabili”, cioè la media impresa, hanno una struttura, un ricambio generazionale tale da avere certi influssi e certe dinamiche in modo da far leva sull’innovazione per competere al meglio nel mercato internazionale e questo l’hanno capito.
Dall’altra parte c’è invece l’azienda che fa benissimo le sue cose e che però vede come ostacolo certi tipi di tecnologia. Faccio un esempio per chiarire:
La cybersecurity, o sicurezza informatica, cos’è? Per le piccole aziende sicuramente è un costo, non è un investimento. Si arriva dopo ad un certo punto in cui ti hanno hackerato le informazioni e rubato i brevetti; a quel punto ti chiedi – “Perché non mi preventivavo prima?”. Per cui il punto è culturale, se non si arriva a compiere il passo culturale necessario a quel punto si diventa dei finti trasformati digitali. L’italiano ha tanta eccellenza da dare, se soltanto si facesse squadra con chi ti sa portare verso un’adozione consapevole delle tecnologie: a quel punto gli italiani avrebbero grande successo.
In un’azienda media dove il Board ha dai 40 a 60 anni, secondo te questo è un ostacolo per la digitalizzazione? Se sì qual è?
No, assolutamente, conosco manager che hanno 60 anni che sono “più giovani” di quelli di 40. Alcune aziende hanno una direzione che è totalmente decisa dal padrone, per questo si segue lui, il resto non si segue.
Nelle altre parti, magari più strutturate in cui c’è un board direttivo, c’è una carta bianca, una sorta di delega distribuita su certe funzioni e quindi anche un budget e una fiducia che viene data al management top; a quel punto lì si comincia a ragionare su un tipo di manager che è stato selezionato. Quindi lì ci sono tantissimi manager, ad esempio quello di Marposs, che ha parlato oggi, è sicuramente un management molto illuminato da quel punto di vista perché comprende dal lato suo quello che vuol dire “adottare nuove tecnologie” e ovviamente lo fa contestualizzato alla sua impresa. Dunque sapere che ci sono nuove tecnologie non vuol dire investire alla rinfusa, ma bisogna farlo in maniera strutturata. Quindi lì è un problema culturale, quindi anche di curiosità mentale dell’individuo
Come te la vedi l’industria fra 10 anni?
Secondo me cambieranno le interfacce coi sistemi, già oggi l’ambito wearable e realtà virtuale ci stanno portando a quasi “un’unicità di movimenti”, cioè riuscire a comunicare vocalmente, magari veramente con un linguaggio naturale piuttosto che con dei tocchi in aria. Noi stiamo già investendo su quelle tecnologie che ti permettono un’interfaccia molto più coinvolgente e immersiva ad esempio di certi tipi di stazioni di monitoraggio o di azioni controllate. Poi c’è la parte delle intelligenze artificiali che ha un ruolo enorme da coprire che è quello “dell’intelligenza aumentata”, intesa non per sostituire l’individuo, ma a servizio dell’individuo.
Vi faccio l’esempio classico, provato scientificamente: l’intelligenza artificiale applicata al riconoscimento di nei, maligni e non maligni, dava un’esattezza del 70% con una rete neurale addestrata. Il medico specializzato però ha una percentuale di successo molto maggiore, l’83%. Insieme, con l’intelligenza artificiale usata dal medico competente si arrivava ad un’esattezza del 96%.
A quel punto è emblematico, se da un lato mettiamo l’intelligenza artificiale al servizio dell’uomo, esso avrà mansioni sempre più inerenti alle sue specificità e la flessibilità, che un computer non potrà mai avere in nessun modo. Dall’altra parte ci sono le interfacce con sistemi wearable sempre più innestati e sempre meno invasivi, a quel punto già il quadro si dipinge da solo. Già oggi abbiamo soluzioni nell’industria di realtà aumentata applicata a scenari di intervento di manutenzione predittiva, con un sistema che ti comunica la probabilità di un futuro guasto, per poi essere guidato verso il punto indicato da riparare e stampare il pezzo di ricambio con una stampante 3D con 0 timing intervention.
Per ulteriori info è possibile visitare il loro sito.
Studente di Management Engineering – Politecnico di Milano
Precedente Caporedattore Leomagazine
Amante a tempo pieno della tecnologia