La “paura del diverso” è un istinto naturale che hanno proprio tutti. A volte qualcuno si lascia controllare da questa paura e nascono così fenomeni come violenza e chiusura mentale, quello che noi chiamiamo “razzismo” insomma. Per quanto si possa pensare di avere una “mente aperta”, quello del pregiudizio razziale (e non del razzismo) è un mondo dal quale è difficile (ma possibilissimo) estraniarsi. Quante volte è capitato, in un primo momento, di attribuire al comportamento di un’altra persona motivazioni legate alle origini o all’aspetto fisico di quest’ultima? Si cade così nel pregiudizio, razziale e non; ad esempio le maggiori difficoltà che incontrano a volte le persone molto tatuate a trovare lavoro è legata a fattori che non riguardano questioni di etnia. Questi stereotipi talora si tramutano in vera e propria discriminazione. La forte presenza di questo fenomeno all’interno di qualsiasi ambito della società e di qualsiasi etnia fa riflettere sul come sia diffusa la mentalità del “pregiudicare”; un esempio è proprio quel che sta accadendo qui in Italia, dove i pregiudizi di molte persone ma anche l’indifferenza degli altri paesi sulla faccenda immigrati (uniti effettivamente ad azioni discutibili di alcuni di questi ultimi), hanno finito col creare da parte di molti italiani un vero e proprio odio e una generalizzazione con frasi del tipo “sono tutti delinquenti” anche nei confronti di quelle vittime, (perché di vittime stiamo parlando) che abbandonano tutto in cerca di un futuro migliore per se stessi e per le proprie famiglie. Sfortunatamente l’odio contro i migranti non è un fenomeno confinato e oltre che nel nostro paese ha svolte persino peggiori in altri luoghi come ad esempio l’America, dove da mesi (la cosa è cambiata il 20 giugno, dopo un ordine esecutivo del presidente Trump che ha ceduto sotto le accuse del mondo intero), venivano separate le famiglie dei migranti provenienti dal Messico (si era arrivati a un totale di 2300 minori sequestrati). I bambini venivano divisi dai genitori e rinchiusi in strutture “apposite” che erano poi in realtà delle vere e proprie gabbie. Tutt’oggi, scaduto ormai da giorni il limite massimo decretato dalla giudice Dana Sabraw entro cui le famiglie dei bambini aventi meno di cinque anni avrebbero dovuto riunirsi, ci sono ancora decine di piccoli che sono in attesa di poter rivedere mamma e papà; le complicazioni nascerebbero infatti, dal fatto che i genitori dei bambini sequestrati siano già stati espulsi dall’America e il fatto che la “tolleranza zero” sia stata effettuata senza un vero e proprio piano del governo sulla faccenda “riunire le famiglie” lascia presagire che la data limite per la totale riconsegna dei bambini ai genitori, fissata per il 26 luglio, sia destinata a slittare ancora. Un altro esempio di pregiudizi razziali ce lo offrono alcuni “neri” in alcuni ambiti musicali come jazz e soprattutto hip hop, dove in un’ intervista per Music Choice Chronicles il rapper americano Curtis James Jackson III (aka 50 cent) ci fa notare come tuttora ci siano molte persone che non accettano che il migliore artista del panorama rap secondo la critica sia un artista “bianco”(Eminem). A confermare come quello del pregiudizio sia un fenomeno radicato all’interno della natura stessa delle persone, sono gli studi della New York University tenuti da Jennifer T. Kubota, Mahzarin R. Banaji ed Elisabeth A. Phelps nel 2012 e portati poi avanti negli anni successivi fino al 2016. Questi studi dimostrano che quando si vede un individuo di un’etnia diversa dalla propria il primo processo neurocelebrale che si attiva è legato all’area del cervello chiamata amigdala, collegata alle emozioni negative e in particolar modo alla sfiducia e alla paura; una volta che lo stimolo passa dal subconscio alle aree superiori del pensiero entrano in azione due altre aree del cervello, (il nucleus accumbens dorsale e la corteccia prefrontale dorso laterale) volte a contrastare i “pregiudizi” del subconscio, o almeno a provarci visto che purtroppo in alcuni casi ancora oggi ha la meglio l’istinto. Gli stessi studi hanno poi dimostrato come per un individuo distinguere le caratteristiche del volto di un altro individuo di etnia diversa, risulti più difficile rispetto al fare lo stesso con un individuo della medesima etnia; non a caso in Italia viene a volte usata la battuta “gli orientali sono tutti identici tra loro” che è appunto un’esagerazione riferita alla conformazione del volto di questi ultimi, (o più precisamente al modo in cui appare al cervello degli occidentali). Gli studi della New York University non hanno mai avuto l’obiettivo di giustificare i pregiudizi o il razzismo, bensì (poiché è stato dimostrato che gli impulsi dell’amigdala tendono a venir contrastati dalle aree superiori del cervello e dalla coscienza delle persone), di comprenderne la ragione a livello istintivo, così da poterli combattere al meglio. Al giorno d’oggi il razzismo vero e proprio è diminuito radicalmente rispetto persino a pochi decenni fa, eppure il pregiudizio è ancora più che diffuso e va combattuto per quanto difficile possa essere. In fondo a nessuno piace l’idea che qualcun altro lo classifichi all’interno di una fredda e insensata “tipologia di persona che può fare questo e non può fare quell’altro” soltanto per il fatto di essere nato “bianco, nero, giallo o x”. Il colore della pelle e qualsiasi altro tratto somatico rappresentano le origini di una persona, non la sua prigione.