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Governo: una storia finalmente conclusa. Il tormentone di primavera battuta per battuta (o quasi)

Nota del direttore:

 Il LeoMagazine, come è noto, non prende posizioni politiche di nessun tipo, per la sua particolare natura di periodico legato a una istituzione come la scuola; pertanto, pur nel massimo e doveroso rispetto delle opinioni di ciascuno, riteniamo di dovere essere super partes.  Di fronte al desiderio espresso dal capocronaca di scrivere un articolo sul tormentato episodio della crisi di governo, ho espresso alcune perplessità, ma ho accettato nella convinzione che a molti giovani – e non solo – siano sfuggiti i meccanismi tortuosi che hanno reso questa crisi unica nella storia repubblicana; e soprattutto, avendo piena fiducia nell’equilibrio e nel buon senso della mia redazione.

L’articolo non intende dunque assumere nessuna posizione ma solo informare, e Matteo Chelli ha svolto, come di consueto, il suo compito in modo egregio.

 

Il primo giugno 2018 il nuovo Governo Conte , cosiddetto “del cambiamento”,  ha finalmente giurato al Quirinale di fronte al Capo dello Stato Sergio Mattarella: dopo un’infinità di giorni di stallo, ripensamenti che avevano reso possibile – ad un certo punto – la formazione di un ulteriore governo tecnico con a capo l’economista Carlo Cottarelli, l’esecutivo giallo-verde è operativo a tutti gli effetti, “pronto a passare dalle parole ai fatti” come affermano Matteo Salvini e Luigi di Maio, segretari dei rispettivi movimenti politici.  Un governo che pare rispecchiare democraticamente la volontà popolare, espressasi in maniera chiara e decisa lo scorso 4 marzo: 32,7% per il Movimento Cinque Stelle e 17,4% per la Lega, forza motrice della coalizione di centro-destra, arrivata prima con il 37%. La legge elettorale tuttavia, prevede una maggioranza assoluta solo e esclusivamente con l’ottenimento del (perlomeno) 40%, risultato che nessuno è stato in grado di raggiungere. Il Professor Avvocato Giuseppe Conte, docente universitario all’Università di Firenze sarà affiancato dai due leader Luigi Di Maio e Matteo Salvini, il primo Ministro del Lavoro, dello Sviluppo Economico e delle Politiche Sociali, il secondo Ministro dell’Interno, e poi nell’ordine da: Giancarlo Giorgetti – Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanni Tria – Ministro dell’Economia, Enzo Moavero Milanesi – Ministro degli Esteri, Riccardo Fraccaro – Ministro ai Rapporti con il Parlamento, Paolo Savona – Ministro degli Affari Europei,  Elisabetta Trenta – Ministro della Difesa, Alfonso Bonafede – Ministro della Giustizia,  Giulia Bongiorno – Ministro della Pubblica Amministrazione,  Giulia Grillo – Ministro della Salute,  Erika Stefani – Ministro degli Affari Regionali, Barbara Lezzi – Ministro del Sud;  Sergio Costa – Ministro dell’Ambiente,  Lorenzo Fontana – Ministro ai Disabili e alla Famiglia, Gian Marco Centinaio – Ministro dell’Agricoltura e del Turismo, Danilo Toninelli – Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Marco Bussetti – Ministro dell’Istruzione, Alberto Bonisoli – Ministro dei Beni Culturali. Questo è quanto, ad oltre 90 giorni dal voto, dopo aver attraversato una delle più grandi crisi istituzionali nella storia della Repubblica Italiana, frutto di una legge elettorale  forse non indovinata o non del tutto adeguata alla situazione attuale, ma anche a un nodo di complicazioni di varia natura.  Subito dopo il voto si era aperta una diatriba, riguardo al fatto se il Presidente Sergio Mattarella avrebbe dovuto affidare l’incarico di provare a formare il nuovo governo ai 5 stelle o, in quanto leader di maggioranza del centro-destra, a Matteo Salvini.  Niente però è sembrato convincere il Capo dello Stato e neanche i vari partiti che, non avendo trovato alcun accordo che potesse garantire una certa stabilità, avevano fatto pensare ad un imminente ritorno alle urne. Poi improvvisamente, il segretario della Lega, d’accordo anche con gli altri due componenti della coalizione,  Giorgia MeloniSilvio Berlusconi, sui quali (e in particolar modo il secondo)  il Movimento 5 stelle aveva posto un veto a qualsiasi possibilità d’intesa, ha cercato di combinare qualcosa assieme a Luigi di Maio, e in sei giorni i due sono arrivati a stilare un contratto di governo contenente i punti principali dei programmi di ognuno, a farlo approvare dai propri elettori e a portare il tutto di fronte al Presidente Mattarella.  Una volta fatto il nome di colui avrebbe dovuto conciliare e guidare il nuovo governo, Giuseppe Conte è stato incaricato. Tuttavia, dopo qualche giorno, a seguito della proposta dei vari ministri, Mattarella ha posto un veto irremovibile sul Professor Paolo Savona, prescelto per il Ministero dell’Economia, ed ecco allora che tutto è andato in fumo. Così, al Quirinale è stato chiamato l’Economista Carlo Cottarelli, che avrebbe dovuto provare a formare, per l’ennesima volta dopo sette anni, un nuovo governo tecnico, non eletto dal popolo. Resosi conto poi di non avere fiducia e appoggio alcuno, Cottarelli si è fatto da parte, e il Capo dello Stato ha nuovamente incontrato i leader Salvini e Di Maio assieme a Conte, affidandogli nuovamente l’incarico e trovando definitivamente un punto d’incontro e un accordo sui futuri ministri. Occorre adesso essere più precisi, ed analizzare a fondo la questione che ha portato ad un tale ritardo. Dopo la prima chiamata di Conte al Colle ed il mancato accordo sul Ministro dell’Economia, Mattarella ha affermato di fronte ai riflettori: “Nessuno può sostenere che io abbia ostacolato la formazione del governo che viene definito del cambiamento. Al contrario, ho accompagnato, con grande collaborazione, questo tentativo; com’ è del resto mio dovere in presenza di una maggioranza parlamentare, nel rispetto delle regole della Costituzione. Avevo fatto presente, sia ai rappresentanti dei due partiti, sia al presidente incaricato, senza ricevere obiezioni, che, per alcuni ministeri, avrei esercitato un’attenzione particolarmente alta sulle scelte da compiere. Questo pomeriggio il professor Conte – che apprezzo e che ringrazio – mi ha presentato le sue proposte per i decreti di nomina dei ministri che, come dispone la Costituzione, io devo firmare, assumendomene la responsabilità istituzionale. In questo caso il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia, che non ha mai subito, né può subire, imposizioni. Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell’Economia. La designazione del ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari. L’incertezza sulla nostra posizione nell’euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L’impennata dello spread, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali. Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi vi ha investito. E configurano rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane. Occorre fare attenzione anche al pericolo di forti aumenti degli interessi per i mutui, e per i finanziamenti alle aziende.” Per chi non ne sapesse nulla, il Professor Paolo Savona potrebbe essere una specie di extraterrestre, ma in realtà si tratta di un arzillo signore di ben 82 anni, economista sardo, famoso per le sue posizioni euroscettiche. Savona ha affermato e ribadito però, con estrema chiarezza più e più volte, anche agli stessi Salvini e Di Maio dopo che lo aveano contattato, di non voler assolutamente uscire dall’Unione Europea, piuttosto di cambiarla a favore di una prospettiva più “italocentrica”, rafforzando la nostra posizione e rendendo il paese “più sovrano di se stesso”, dall’agricoltura alla pesca, dall’industria al settore terziario, per arrivare poi sino a drammatici problemi quali immigrazione e debito pubblico. Inutile nascondere o tentare di mascherare quante e quali vessazioni l’Italia abbia subito in materia, a partire dalla condanna a morte degli agrumi siciliani, già dal 2016, dall’arrivo di ingenti quantità di riso cambogiano e di olio tunisino a causa del considerevole abbassamento dei dazi sulle merci in entrata, o di un flusso migratorio in costante aumento che ci troviamo ad affrontare esclusivamente da soli.

Ed è inutile  che poi si parli di aziende ed imprenditori, se questi vengono continuamente messi alle strette da provvedimenti suicidi e resi impossibilitati a continuare la propria attività. Migliorare non è sinonimo di distruggere, e di fatto, nel contratto di governo stesso, di posizioni del tipo “Italexit”non vi è alcuna traccia. Certo, bisogna anche dire che secondo la stragrande maggioranza dei costituzionalisti, il Presidente Mattarella ha applicato la Costituzione nel pieno rispetto dei suoi poteri, e tra l’altro casi del genere si sono già verificati nel corso della storia della Repubblica Italiana: nel 1992 il Presidente Oscar Luigi Scalfaro disse di no alla candidatura a Presidente del Consiglio di Bettino Craxi, a seguito dei particolari che stavano emergendo dall’inchiesta Tangentopoli sul finanziamento illecito in favore dei partiti politici; nel 1994 sempre Scalfaro, a seguito della nomina a premier di Berlusconi, negò la nomina ministeriale a Cesare Previti, allora avvocato del Presidente Berlusoni, per ovvi motivi di conflitto d’interessi; nel 2001, il Presidente Carlo Azeglio Ciampi pose un veto su  Roberto Maroni a Ministro della Giustizia, a seguito di due processi derivanti dal codice penale; infine nel 2014, il Presidente Giorgio Napolitano disse no a Matteo Renzi riguardo alla possibile nomina del  Procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri, poiché avrebbe contraddetto la regola non scritta secondo cui un magistrato in servizio non può assumere l’incarico di Ministro della Giustizia.  Si tratta insomma di motivazioni, tutte quante, ben salde e fondate, in cui il Capo dello Stato ha svolto effettivamente un ruolo di garanzia e di tutore delle leggi dello stato. Il Presidente Mattarella ha espresso una personale preoccupazione in merito all’andamento del mercato finanziario, ai risparmiatori e all’impennata dello spread. Beh, a tal proposito bisogna però ricordare il famosissimo Decreto Salva Banche, varato nel novembre 2015 dal Governo Renzi, che ha ridotto sul lastrico 130 mila azionisti e obbligazionisti di Banca Etruria, Banca Marche, Cari Ferrara e Cari Chieti, i quali hanno visto totalmente azzerati i loro risparmi da un giorno all’altro e di cui la stragrande maggioranza non ha visto un solo centesimo tornare nelle proprie tasche ancora oggi. È sempre sotto gli occhi di chiunque abbia voglia di informarsi, dati alla mano, anche che il valore dello spread ha sfondato i 200 punti diverse volte già durante il Governo Gentiloni, nel periodo che va da febbraio ad aprile 2017. In questo caso la questione sembra esser stata meno rilevante: certo, dopo che Conte ha rimesso l’incarico ed al suo posto è stato incaricato Cottarelli, si sono raggiunti valori ancora più alti, sfiorando i 320 punti, ma di qui ad addossare la colpa al nuovo governo pare altro che un salto troppo azzardato.  A soffiare sul fuoco hanno poi contribuito certe dichiarazioni discutibili di esponenti di spicco dell’UE, tra cui in particolar modo il Commissario al Bilancio Oettinger che ha dichiarato apertamente – poi scusandosi – che: “i mercati insegneranno agli italiani a votare”.  Il nuovo esecutivo ha insomma scatenato un vero e proprio putiferio, con il risultato ineguagliabile di esser considerato tra i pochi governi – o forse l’unico – ad aver distrutto un paese ancora prima di essere partito ed aver giurato.  Che poi di per sé la critica fa parte del gioco, ed è così che funziona, in qualsiasi contesto di opposizione, ma deve avere salde fondamenta per ritenersi credibile: è inaccettabile che qualcuno abbia chiamato in causa stragi di massa, eccidi e torture, senza il benché minimo ritegno per le vittime reali di certi eventi. Il nuovo governo a trazione Lega/Cinque Stelle non avrà certo di fronte a sé un compito facile  e tutto sarà da dimostrare e vedere, anche perchè –direbbe qualcuno – tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Senza dubbio, e vedremo se saranno in  grado di compiere il guado: ma quando 16 milioni di persone si esprimono, rispettosamente e indubbiamente, prendiamo atto del fatto che una ragione c’è. E si chiama Democrazia.

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