Prima edizione il 19/02/2018 su Totalità.it. Si riporta per cortese concessione del direttore.
Disclaimer: tutti i nomi inseriti nell’articolo, per rispetto della privacy, saranno di fantasia. Ma i fatti raccontati saranno, purtroppo, reali.
Qualche giorno fa, una bambina a me cara, che per privacy chiameremo Margherita, è venuta da me dicendomi qualcosa di abbastanza preoccupante: “oggi è stato il mio primo giorno di scuola”. Chiedendole il significato della frase, mi ha poi spiegato che stava cambiando l’istituto fiorentino di sua frequentazione, con successiva conferma da parte di suo padre. Ma perché questa infante, nel corso del suo quarto anno di insegnamento elementare, ha richiesto un provvedimento così drastico? Per colpa del bullismo. Non Cyberbullismo, che con tutte le attenzioni che ha ricevuto finora sembra aver relegato in secondo piano il problema del bullismo vero e proprio. Ma non si parla neanche di bullismo esplicito, dove un gruppo di ragazzini aspetta tutti i giorni fuori da scuola il malcapitato per estorcergli soldi o simili. Si parla di quella forma di bullismo che più di tutte forse dovrebbe preoccuparci: quello viscido, insidioso, che non si manifesta sotto forma di grandi atti di violenza, ma che si mostra a spizzichi e bocconi, solo in alcuni giorni, in piccoli episodi che presi singolarmente sembrano non avere peso, ma che messi insieme costituiscono un quadro molto pericoloso. È questo il caso di questa bambina, che ha voluto raccontarmi alcuni dei numerosi atti di bullismo psicologico, linguistico e incivile che ha dovuto subire. Prima di esporre tuttavia la mia posizione in merito, mi sembra giusto raccontare i dati episodi, di modo che prima di tutte sia la voce della verità a parlare. La voce di chi queste cose le ha vissute per oltre tre anni, e che ora ne subisce, purtroppo, le conseguenze. Perché alla fine, piccoli episodi come questi non avrebbero gran valore di per sé. Ma una volta analizzati uno ad uno si può ritrovare un filo conduttore che ci farà ricostruire un mondo pericoloso dietro, che va fermato prima che sia troppo tardi. Lascio che parli la diretta interessata:
“In un giorno normale, le maestre ci hanno fatto cambiare i posti. Mi hanno messo in penultima fila, dietro a Fabiano, molto più alto di me. Notando che, a causa della sua altezza, non riuscivo a vedere la LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), ho espresso alla maestra Federica questo mio malessere. Lei mi ha detto che, qualora avessimo visto un video, io mi sarei potuta mettere a sedere sul banco. Così, quando qualche giorno dopo dovevamo vedere un video, mi sono seduta sul mio banco. I miei compagni dell’ultima fila hanno iniziato a criticarmi, dicendo che solo loro avevano il diritto di salire sui banchi. La maestra Renata (che evidentemente non aveva comunicato con la sua collega) mi ha sgridato urlando, mettendomi in imbarazzo davanti a tutti, prendendomi con forza per il braccio e trascinandomi nel corridoio centrale dell’aula (quello tra i banchi, per intendersi) con una sedia, di modo che potessi vedere.”
“Un giorno avevo portato in classe una delle mie borse preferite per farla vedere ai miei amici. L’avevo messa in cartella. Durante la ricreazione mi sono messa a giocare con gli altri, come facevo sempre, e una volta finita mi sono resa conto che la borsa non c’era più. Allora l’ho detto alla maestra Renata, che, un po’ scocciata, ha detto ai miei compagni di controllare i loro zaini. Ma tutti dicevano di non averla. Allora la maestra mi ha detto che dovevo stare più attenta alle mie cose. Alla fine delle lezioni, mentre stavo uscendo dalla classe, ho notato un oggetto rosso nel cestino. Mi sono avvicinata per controllare, ed era la mia borsa! Appena l’ho detto alla maestra, mi ha risposto: «hai visto che l’abbiamo ritrovata!»”
“Avevo un segreto, molto personale. Avevo una cotta per Pasquale. Un giorno decisi di confidarlo alla mia migliore amica. Dopo un’oretta alcune mie compagne sono venute a chiedermi se mi piacesse Pasquale. Avevo capito che il segreto era stato rivelato alla classe. Durante l’intervallo, mi sono resa conto che Gabriella ed Edoarda lo stavano scrivendo alla lavagna. Mi sono messa a piangere.
Dopo un paio di giorni, Pasquale mi ha consegnato un biglietto in cui diceva di amarmi, chiedendomi se volevo ricambiare. Io gli ho risposto di sì. A quel punto mi ha detto: “Ah! Lo sapevo che mi amavi!”, andandosene poi disinteressato. Avevo capito di essere stata presa in giro. Mi sono sentita umiliata.”
Parlando col padre di questa bambina è venuto fuori che, per chiarire la situazione, questi è andato a parlare con le due docenti. Spiegando la prima situazione, ovvero quella della messa a berlina del segreto, le due hanno risposto: “Eh ma sua figlia è stata troppo ingenua!”
Come se il problema fosse la fiducia che Margherita ha riposto nella sua amica e non il comportamento dei suoi compagni (episodio nel quale tra l’altro le insegnanti non sono intervenute), ma andiamo avanti.
“Un mercoledì pomeriggio, per cercare di migliorare i miei rapporti con Edoarda, ho deciso di invitarla a casa mia per giocare assieme. Ci siamo divertite tanto, e finalmente sembrava nascere un’amicizia. La mattina dopo, la mia compagna Carla ha portato a scuola una rivista che interessava tutta la classe. Tutti ci siamo radunati intorno alla rivista per osservarne il contenuto. E mentre anche io la stavo guardando, Edoarda mi ha dato una spallata che mi ha spinto lontano, dicendo: «Spostati scema che la rovini!»”
“Durante un intervallo, mentre stavo giocando con Gabriella, Edoarda ci ha notate. Affermando che la sua migliore amica Gabriella non potesse venirle rubata da me, ha mandato la sua amica Gemma a interrompere il tutto. Ha quindi preso Gabriella con forza per il braccio cercando di portarla da Edoarda. Gabriella si è lamentata dicendo “Ma io non voglio venire!”. Edoarda, sentendo ciò, si è quindi messa a piangere. La maestra Renata l’ha notata, e chiedendole perché stesse piangendo, questa le ha risposto: “è colpa di Margherita e di Gabriella!”. Renata ha quindi chiamato me e la mia amica, dicendoci che, se avessimo fatto piangere nuovamente Edoarda, avrebbe chiamato i nostri genitori.”
“In seconda elementare avevo una compagna molto brava, Carla, che si vantava sempre dei suoi ottimi voti. Volendo dimostrare anch’io la mia bravura, ho detto ai miei compagni che ho fatto la comparsa in uno spettacolo teatrale e che sapevo suonare il violino. Loro mi hanno dato della bugiarda. Ma io non stavo mentendo. Era vero. Dopo averlo detto a mio padre, egli ha deciso di andare a parlare con le maestre per esprimer loro questo mio malessere. Gli hanno detto di dimostrare che ciò che dicevo era vero, portando a scuola il manifesto dello spettacolo e un mio spartito. E così ho fatto. Solo allora mi hanno creduto”.
E la storia sarebbe anche finita qui, se non fosse che poi i suoi compagni hanno trovato un altro preteso per prenderla in giro. Andiamo avanti.
“Questo episodio è molto recente. Eravamo a mensa, seduti a tavola. Tutti pensavano che io volessi giocare a telefono senza fili, dato che lo avevo già proposto nei tre giorni precedenti. Ma non era così, non avevo detto nulla. All’improvviso, Martino, che probabilmente non aveva voglio di giocare, ha chiesto a voce alta: «Chi è che non sopporta Margherita?» e tutti hanno alzato la mano.”
Di nuovo, il padre è andato a parlare con l’insegnante. Dopo averle esposto questo preoccupante episodio, la maestra, e qua permettetemi di dire la mia, ha avuto la sfrontatezza di rispondergli: «Ah ma io non ho visto nulla!».
Cerchiamo di mettere insieme i pezzi. Il problema principale che emerge da questi episodi non è tanto la maleducazione e la noncuranza verso gli altri da parte dei compagni di Margherita. I bambini, nella loro tenera età, si sa, vanno riportati sulla retta via qualora la perdano. Subiscono facilmente influenze sia positive che negative e spesso non si rendono conto di ciò che stanno facendo, come in questo caso, dove non comprendono che c’è qualcuno che ci sta male per questi comportamenti. Ciò che veramente preoccupa, però, è la noncuranza dei docenti. È vero che i genitori sono i diretti responsabili dell’educazione e della crescita dei loro figli, ma anche gli insegnanti svolgono un ruolo fondamentale in questa formazione, dato che sono sotto la loro responsabilità numerose ore al giorno. E ciò che appare da questi racconti è una triste verità: questi docenti hanno un interesse puramente economico. È l’unico modo che mi viene in mente per spiegare un tale comportamento. Prendiamo l’esempio della borsetta: il problema non è tanto il furto in sé. Quanti giocattoli che abbiamo portato a scuola non sono mai riusciti a rivedere i muri della nostra cameretta? L’episodio è finito bene, è vero, ma la maestra avrebbe potuto sfruttare l’occasione per dare un insegnamento di vita ai suoi giovanissimi studenti. Rubare è sbagliato, e disfarsi dell’oggetto rubato (perché è chiaro che il colpevole, notando che la situazione si stava facendo sempre più spinosa, abbia deciso di sbarazzarsi delle refurtiva) non è una soluzione: bisogna accettare la propria colpevolezza e scusarsi, accettando l’errore e evitando di ripeterlo in futuro. Ma non esiste che la maestra pensi di liquidare la faccenda con un semplice «hai visto che l’abbiamo ritrovata!». O ancora, riferendoci all’ultimo episodio: come è possibile che tu, docente, che vieni pagata per guardare i tuoi alunni, non ti sia resa conto di una cosa tanto grave? Come puoi non aver notato l’accanimento generale di una classe verso una singola bambina? Sempre la stessa da oltre tre anni poi, non una presa a caso. E potrei andare avanti così a lungo, ma preferisco che siate voi a giudicare tutto ciò.
Il punto è che questo tipo di bullismo è quello più subdolo di tutti. Si insinua silenziosamente nelle classi, manifestandosi in episodi piccoli e concisi, a intervalli irregolari, pur rimanendo sempre presente. Come se commettere piccoli atti come questi, in momenti diversi e più o meno distanti tra loro nel tempo, li giustificasse. Questo è un pericolo reale e incombente. Chissà quanti altri giovani introversi non hanno parlato ai loro genitori di episodi simili per paura o perché gli hanno dato poca importanza sul momento. Ma a lungo andare, la sofferenza aumenta, e potrebbe esplodere da un giorno all’altro. E finché non assumeremo un atteggiamento pragmatico verso queste situazioni, avremo perso la lotta contro il bullismo.