Applausi e risate al momento giusto per la versione firmata Monica Guerritore ( Firenze, teatro della Pergola) di Mariti e mogli, film di Woody Allen che ha raggiunto i grandi schermi nel 1992, subito dopo la fine della storia con Mia Farrow.
Due coppie di amici si ritrovano ogni settimana per un’ora di lezione di ballo tutti insieme prima di uscire a cena. Ma quando Sally e Jack dichiarano, con apparente serenità, di volersi separare, le insoddisfazioni e i desideri nascosti di ognuno di loro iniziano a fare capolino dalle crepe delle loro relazioni e, intrappolati come sono da un nubifragio improvviso, i personaggi non possono più fuggire e far finta di non vederli.
Funziona lo stratagemma di ambientare la vicenda in una sala da ballo, che se da una parte rischia di renderla meno realistica (anche se, stando alla Guerritore, c’è bisogno di “trasfigurare [le cose] per far arrivare al pubblico un messaggio attraverso la visione artistica”), dall’altra garantisce anche una maggiore organicità degli eventi, che nel film originale prendevano luogo in diversi appartamenti e vie di Manhattan, nell’arco di alcuni giorni invece che di una sola notte di tempesta.
Anche il gioco delle danze è un meccanismo efficace per far capire al volo, senza sprecare battute per cui in meno di due ore non ci sarebbe neanche posto, i rapporti (manifesti e non) dei personaggi, con una Judy inizialmente impacciata e fuori ritmo, e un Gabe che dirige troppo volentieri le proprie attenzioni verso la sua giovane studentessa Rain.
Monica Guerritore è la sardonica Sally, sarcastica e disincantata di fronte a ogni cosa, dal romanticismo alla termodinamica. Nel teatro di prosa si corre sempre il rischio di risultare un po’ troppo artificiosi, ma Guerritore è una maestra di spontaneità, forse anche grazie alla sua esperienza come attrice di cinema, e riesce a non perdere l’eleganza anche sibilando una parolaccia dietro l’altra.
Francesca Reggiani invece è Judy, una “passivo-aggressiva” che “sopporta, sopporta, sopporta e poi chiude”, che nonostante un divorzio non ha il coraggio di ammettere i problemi della propria relazione, ripetendo caparbiamente di desiderare solo il marito Gabe: anche lei, però, si ritroverà a sussurrare, quasi sovrappensiero “Nessun matrimonio è perfetto”. Reggiani è accattivante e coinvolgente, di una simpatia che va oltre il personaggio e conquista il pubblico.
Ferdinando Maddaloni è il marito di Judy, Jack, la “mente” dietro al loro divorzio. Frustrato dalla mancanza di intimità con Sally, Jack cerca conforto presso la propria insegnante di aerobica, Samantha (Lucilla Mininno), che però impallidisce al confronto con la colta, sfaccettata futura-ex-moglie (“Voi direte che sono stato un pazzo a lasciare Sally per lei,” dirà a un certo punto al pubblico), e di cui segretamente si vergogna. Maddaloni dipinge in maniera lodevole la figura un po’ schizofrenica di questo personaggio, allo stesso tempo violentemente bisognoso di affetto e incapace di riceverlo.
Gabe, il ruolo originariamente di Woody Allen, spetta a Cristian Giammarini. Gabe è quello per cui la storia finisce male: attratto dalle “donne-kamikaze”, non riesce a tenersi stretta Judy, si perde dietro a Rain, e alla fine rimane da solo. Ma se nel film gli era concessa almeno l’attenuante di essere lui a rifiutare le avances di Rain, qui è Rain stessa (Malvina Ruggiano), in un momento di presa di coscienza, a metterlo davanti alla sua cortese misoginia e al suo delicato egotismo. È un personaggio antipatico, Gabe, e Giammarini riesce a renderlo senza calcare troppo la mano, in modo che per la prima metà dello spettacolo il pubblico rimanga a domandarsi perché, esattamente, Gabe gli piaccia così poco.
Alla fine, saranno Jack e Sally a rimanere insieme: un anno dopo, si vedono abbracciati sotto le coperte, a chiedersi che cosa mai gli fosse saltato in testa per pensare di divorziare. Jack si è fatto mansueto: ha “tirato i remi in barca” ed è diventato “gentile, un po’ triste, e un po’ noioso”, che è tanto la salvezza quanto la tragedia di una coppia borghese come loro. Judy ha lasciato Gabe e, con rinnovata fiducia in se stessa, sta uscendo con l’aitante Michael (Enzo Curcurù). Gabe rimane da solo, a ripetere a chiunque sia disposto a starlo a sentire,e soprattutto a se stesso, che tra un po’ anche lui si ributterà nella mischia.
Una commedia divertente e piacevole, graffiante senza mai scadere nel volgare, e di un umorismo che forse fa più presa sul pubblico italiano, rispetto al copione “made in USA” di Allen. E se Cupido, come dice Francesca Reggiani, “si diverte a scagliare frecce”, qualcuna deve essere finita anche in platea e in galleria.
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