Basta guardarsi intorno per vedere quante persone possiedono uno smartphone: dai benestanti ai nullatenenti, dai bambini agli anziani, secondo una ricerca Deloitte (Global Mobile Consumer Survey) circa l’82% della popolazione mondiale ne è in possesso, anzi, per meglio dire, è lui ad essere in possesso di noi. Il termine “smartphone” viene appunto coniato, all’inizio degli anni 2000, in America per specificare l’accesso a internet e alle reti di tale apparecchio. Ma a quale scopo? Sicuramente per facilitare la ricerca d’informazioni, dati e addirittura persone. È risaputo ormai, che i social network possiedono la stragrande maggioranza degli accessi alla rete, usati per vari scopi non certo tutti “nobili”, soprattutto con l’andar del tempo.
Grazie alla possibilità di crearsi un’identità, è sempre più possibile agire su questi social in anonimato; tale fenomeno ha talmente spopolato che alcuni social network hanno incorporato, il tasto “anonimo”. Perché mettere l’anonimo? Inizialmente per motivi di privacy, ma la cosa è degenerata in blasfemie tra le quali il sesso online, lo stalking, il cyber-bullismo e in alcuni casi addirittura l’omicidio. Uno dei problemi più grandi dell’anonimato inoltre è quello della quasi impossibilità di ritrovare i colpevoli di questi crimini virtuali, a causa della dura politica sulla privacy e trattamento dei dati personali di questi social network. Questi strumenti di comunicazione di massa sono diventati inoltre una sorta di “Grande Fratello”, come un occhio che tutto vede e controlla. Come del resto hanno fatto NSA e GCHQ (servizi segreti americani e britannici) nel 2014 circa, attraverso la famosissima app e gioco virtuale “Angry Birds”, con cui gli 007 ed i loro gemelli americani riuscivano ad ottenere i dati personali del proprietario dello smartphone ed addirittura il suo orientamento sessuale.
Ci sono poi social network, se ancora così li possiamo definire, occulti, nel famigerato Dark-Web, con il quale, attraverso la famosa moneta non tracciabile, il Bit-Coin, è possibile assoldare assassini, ricevere filmati blasfemi e pedofili, effettuare la compra-vendita di armi, utilizzate anche per alcuni attacchi terroristici.
A questa blogosfera però, appartengono anche molti bambini, iscritti ai social spesso e volentieri con date di nascita fasulle o appartenenti ad alcune chat di giochi virtuali. Famosi sono stati anche i casi di omicidio/suicidio attraverso il macabro gioco della Balena Blu (o Blu-Whale), partito dalla Russia intorno allo scorso anno. Ma cosa c’entra con i social? C’entra eccome, dato che è proprio attraverso i social che il gioco si svolge: ogni ragazzo che inizia a farne parte fornisce i propri dati personali ad un perfetto sconosciuto (il curatore), che a sua volta ogni giorno per 50 giorni, dà all’individuo una prova da eseguire sotto minaccia di morte verso la famiglia (grazie ovviamente ai dati forniti dall’utente che fino a quel momento era rimasto all’oscuro di tutto). Le prove consistono nel vedere filmati di suicidio, provocarsi dei tagli sul corpo, fino ad arrivare all’ultima grande prova che è appunto il suicidio. Il problema è che questo “gioco” è diventato una vera e propria occasione per un ragazzo di diventare popolare con i coetanei perché, dal momento che ne entra a fare parte, viene visto dagli altri come una persona da adulare e tutto all’oscuro degli ignari genitori. Cosa fare per evitare queste situazioni? Come consiglia anche la cyber-psychologist Kimberly Young, bisogna accedere e utilizzare questi siti con molta cautela, soprattutto per quanto riguarda le relazioni, anche con persone conosciute, a causa dei vari profili fake appositamente creati per ingannare l’utente.