Sicuramente la rivisitazione di molti testi teatrali avvenuta negli ultimi anni ha destato perplessità se non disprezzo da parte dei soliti habitués. C’è chi l’ha ritenuta necessaria, chi superflua, e chi ha trovato un compromesso. Nel caso dell’Enrico IV proposto in questi giorni al teatro fiorentino della Pergola (Teatro della Toscana) da Carlo Cecchi, regista e interprete del protagonista, possiamo però trovare qualcosa di davvero particolare. Ciò che Cecchi ci propone è una reinterpretazione proprio pirandelliana, che riesce a far appassionare il pubblico nonostante la leggera distanza dall’opera originale. Distanza non formale, ma “sostanziale”. La regia e i costumi infatti, pur non essendo da lode, risultano essere sopra la media, e la recitazione degli attori è impeccabile, ironicamente anch’essa pirandelliana, in quanto si calano perfettamente nella loro parte. Ma da dove nasce, allora, questa distanza?
Principalmente da due fattori chiave: l’abbreviazione generale dell’opera e la scusa dietro alla pazzia di Enrico. Come affermava infatti Cecchi: “Prima di tutto ho ridotto drasticamente molte delle lunghissime battute del Grande Attore; conseguentemente gli altri personaggi acquistano un rilievo che spesso, soverchiati dal peso delle battute del protagonista, rischiano di perdere” e ancora “Nulla è sparito, solo i lunghi monologhi sono ridotti in maniera estrema. Il bellissimo discorso di Enrico IV sulla pazzia è ovviamente rimasto. Così come tutti i personaggi. Peraltro, quando ci si allontana troppo dal testo uno dei quattro servitori ha il compito di rettificare. Dice: “No, Maestà”. E ricorda l’originale pirandelliano”. Ma è ciò forse una pecca? Beh, dipende dai punti di vista.
Indubbiamente un esperto del teatro pirandelliano potrebbe pensare che questa reinterpretazione sia troppo lontana dall’originale, ma forse sarebbe solo un pretesto per criticare a vanvera. Ciò che ha fatto Cecchi, invece, risulta essere una manovra molto coraggiosa ma che ha ripagato. Oggi infatti si sa, è sempre più difficile portare il pubblico giovanile (o almeno la maggior parte) a teatro, in modo che osservi attivamente con i propri occhi quello che si studia passivamente sui libri. È per questo che Carlo Cecchi ha deciso di attualizzare ancora di più un’opera così recente. Ed ecco quindi infilate in mezzo ai soliti discorsi volti allo sviluppo della trama delle scurrilità e vocaboli di dubbio gusto, ma mai in modo casuale. Questi sono infatti distribuiti in modo logico tra un dialogo e l’altro, mai a sproposito, e riescono a mantenere viva l’attenzione anche delle menti più distratte. È come se venisse a crearsi un rapporto attore-pubblico (dovuto anche al fatto che molti dei torpiloqui sono recitati verso di esso), dove non si capisce più se sono loro a farsi spettatori o noi attori. Ma spettatori o attori di cosa? Della presunta pazzia di Enrico IV, ovviamente.
Eh sì, perché questa volta la sua finta incoscienza di aver perso la testa è portata a un’ipocrisia ancora più estrema di quella proposta da Pirandello. La reale pazzia del povero vecchio trova la sua cagione in un motivo diverso, come afferma lo stesso Cecchi: “Ho fatto della follia e della recita della follia di Enrico IV, che nell’originale ha una causa clinica un po’ banale, una decisione dettata da una sorta di vocazione teatrale: non per nulla, il teatro, il teatro nel teatro e il teatro del teatro, sono il vero tema di questo spettacolo”. Una scelta che porterà a un cambiamento non indifferente nella seconda parte dello spettacolo ma, ancora una volta, per nulla mal fatta. Perché anche qui la sostanza dello spettacolo non cambia, ma anzi, il tema della maschera viene approfondito in modo diverso e originale, e ci sarebbe da chiedersi cosa ne avrebbe pensato Pirandello stesso.
In definitiva, la lettura di Cecchi risulta essere un modo efficace per avvicinare le nuove generazioni al teatro pirandelliano, ottima per avere fin da subito una buona impressione di un autore per nulla scontato. I senior del settore avranno certamente più critiche, ma dovranno riconoscere l’impegno messo per riproporre un’opera già attuale di per sé in un modo ancora più accattivante. Più che reinterpretare l’opera in relazione al pubblico moderno, Cecchi sembra aver reinterpretato il pubblico in relazione all’opera.
Gli spettacoli vanno dal 12/12/2017 al 17/12/2017, sempre alle 20.45 tranne che per la domenica, alle 15.45.