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DIPENDENZE: catene invisibili sul cervello umano?

«Tutto ciò che è eccessivamente gratificante, che induce euforia o calma, può creare dipendenza.» afferma Jon Grant che dirige la Clinica per i disturbi da dipendenza dell’Università di Chicago. Continua affermando che, il “potere” di creare o meno dipendenza è relativa alla vulnerabilità del singolo, che è condizionata da fattori genetici e psicologici. «Non tutti sviluppano dipendenze» spiega lo psichiatra.

Tabacco, droga e giochi d’azzardo sono solo alcune delle dipendenze più comuni. Nel mondo 1,1 miliardi di persone sono fumatori di tabacco, che è implicato tra le prime cinque cause di morte e quasi 1 adulto su 10 è dipendente dall’alcol.  La scienza ha studiato anche il modo  in cui le dipendenze alterano i processi alla base del desiderio, della formazione di abitudini, del piacere, dell’apprendimento e della regolazione emotiva. «In un certo senso, la dipendenza è una forma patologica di apprendimento» spiega Antonello Bonci, neurologo del National Institute on Drug Abuse (NIDA) che insieme alla sua equipe ha misurato l’attività elettrica dei neuroni in ratti dipendenti dalla cocaina scoprendo che la regione prefrontale che avrebbe dovuto inibire ceti comportamenti era silenziosa. Dopo aver attivato le cellule in questione Bonci  afferma che«Il loro interesse per la cocaina è praticamente scomparso.» Per l’attivazione delle cellule è stata impiegata la stimolazione cerebrale, infatti, il nostro cervello funziona grazie a impulsi elettrici che passano da un neurone all’altro; utilizzando uno strumento che genera un impulso magnetico capace di alterare l’attività elettrica del cervello, è possibile modificare anche il percorso della corrente tra le cellule celebrali. È stato allora ipotizzato che impulsi ripetuti potessero attivare i percorsi neurali danneggiati dalla droga quindi Bonci, insieme a Luigi Gallimberti, psichiatra e tossicologo, e Alberto Terraneo, psicologo neurocognitivo, reclutò un gruppo di cocainomani: 16 di loro decisero di provare la tecnica innovativa proposta dai tre scienziati mentre altri 11 scelsero di essere curati mediante tecniche standard, come le medicine. Dopo un mese sono guariti 13 dei pazienti che si  erano sottoposti alla stimolazione e solo 3 del secondo gruppo. «É stato un cambiamento totale»spiega uno di loro «Sento una vitalità e una voglia di vivere che non provavo da tanto tempo.» L’alcol è un’altra delle dipendenze più comuni: Nathan Abels, elettricista ventottenne, dopo essere finito al pronto soccorso della facoltà di medicina dell’Università della Carolina del Sud, a Charleston, ha deciso di smettere di bere. Durante il percorso di disintossicazione si è sottoposto alla stimolazione magnetica transcranica (TMS). Abels si è impegnato nella cura e afferma: «avevo sempre pensato al bere come una debolezza. Capire che è una malattia ti dà tantissima forza.»

Un testo di medicina di trent’anni fa avrebbe detto che «la dipendenza è il bisogno di assumere una sostanza con sempre maggiore tolleranza, che richiede dosi sempre più alte per sentirne gli effetti e che produce terribili crisi di astinenza se l’assunzione viene interrotta.»Questa definizione è valida per l’alcol, la nicotina e l’eroina, tuttavia non spiega nè tutte quelle dipendenze che non provocano alcuna crisi di astinenza nè l’aspetto delle ricadute. Queste considerazioni portarono i responsabili della salute pubblica statunitense alla conclusione che una dipendenza non è nè un deficit morale, nè una debolezza, non è un’abitudine malsana o un disturbo del comportamento, ma è una malattia e come tale va trattata e curata. Tale parola è quindi stata ridefinita: è la ripetizione compulsiva di un’attività a costo di conseguenze dannose per la vita e può presentarsi anche se non si fa uso di droghe. L’edizione più recente del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM, testo di riferimento della psichiatria statunitense) riconosce per la prima volta una dipendenza comportamentale: il gioco d’azzardo, che non causa crisi di astinenza, come la definizione tradizionale sosteneva. Alcuni ricercatori sostengono che molte delle attività e molti degli oggetti della nostra vita quotidiana – cibi malsani, smartphone, shopping, social networks, giochi online – possono generare dipendenze a causa della capacità di influenzare il sistema cerebrale, soprattutto la regione responsabile del desiderio e della ricompensa. Quest’ultima è una parte primitiva del cervello e fa in modo che l’uomo cerchi ciò di cui ha bisogno. Il desiderio dipende da una complessa serie di azioni, ma uno dei fattori scatenanti è un picco del neurotrasmettitore dopamina, messaggero chimico che trasporta i segnali di sinapsi in sinapsi. La dopamina è stata definita dagli scienziati la “droga naturale” perchè il cervello ha evoluto un sistema della ricompensa basato su di essa per incoraggiare comportamenti che aiutano a sopravvivere come mangiare, procreare o interagire con i propri simili. Allo stato naturale, l’attività dei neuroni prevede che i neurotrasmettitori trasportino gli impulsi nervosi lungo le sinapsi fra le cellule per eccitarne o inibirne l’attività; allo stato eccitato, quando si sperimenta un’attività piacevole, la dopamina inonda temporaneamente una sinapsi e ciò fa aumentare la salienza, ossia il potere motivante di uno stimolo.

Anna Rose Childress, neuroscienziata clinica del Centro studi sulle dipendenze dell’Università della Pennsylvania ha dimostrato che un fattore scatenante non ha bisogno di essere percepito consciamente per risvegliare il sistema della ricompensa in chi è affetto dalla dipendenza;  infatti  dopo aver analizzato le scansioni cerebrali di 22 ex cocainomani a cui erano state mostrate immagini di pipe da crack per un intervallo di tempo pari a 33 millisecondi, un decimo del tempo impiegato dall’occhio per battere le palpebre, vide che nonostante i volontari non avessero percepito nulla consciamente, le immagini avevano attivato le stesse parti del sistema della ricompensa che vengono eccitate dai richiami alla droga visibili. Attualmente i ricercatori stanno tentando di stabilire quali tipi di comportamenti possono generare tale malattia. Oltre al gioco d’azzardo, il disturbo da gioco online insieme al lutto cronico invalidante e al disturbo da uso di caffeina sono considerati atteggiamenti che possono portare sulla via della dipendenza, anche se necessitano di ulteriori studi per poter essere introdotti nel DSM. «Siamo tutti rilevatori sensibilissimi di gratificazione», conclude Anna Childres.

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