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L’ INCOMPRENSIONE dell’arte contemporanea. Con Dalmazio Frau

Quando si parla di arte contemporanea vengono fuori sempre più frequentemente frasi come: “Non amo l’arte contemporanea, è strana…” “Non la capisco…” “Come? Quel gabinetto può essere considerato arte?!” ( osservazione tipica soprattutto degli indignati che spesso e volentieri fanno solo finta di essere esperti nel settore). Perché questo? Per quale motivo la gente comune non riesce a trovare fascino nelle opere che ne sono l’espressione?

Abbiamo chiesto una risposta al noto critico d’arte e illustratore Dalmazio Frau, autore di saggi affascinanti e “provocatori” come l’Arte Ermetica (Roma, 2014) e L’arte spiegata a mia cugina (Chieti 2016)

Perché secondo lei l’arte contemporanea generalmente parlando, non è vista di buon occhio dalla maggior parte delle persone che talvolta si rifiutano persino di definirla arte? Potrebbe influire su questo giudizio il fatto che la maggior parte delle opere contemporanee siano opere concettuali e non figurative?

È un po’ la situazione de “Le vacanze intelligenti” di Alberto Sordi (terzo capitolo del film collettivo Dove vai in vacanza? del 1978) nel quale i protagonisti marito e moglie, due veraci popolani romani, si ritrovano alla famosa mostra della biennale di Venezia e la moglie in una scena in particolare, viene scambiata per un’opera esposta. In sé e per sé questa scena contiene se vogliamo un po’ tutte le risposte che stiamo cercando. Cioè, effettivamente il popolo, la gente comune quale poi siamo in realtà tutti noi, ha una percezione immediata di quella che, a loro giudizio, è un’opera d’arte: attraverso questa percezione valutiamo se essa ha un contenuto non solo estetico, ma anche interiore. Di conseguenza è facile dire “questo lo avrei saputo fare anche io” davanti a un’opera concettuale che non ci trasmette niente dal punto di vista interiore (sempre prendendo come riferimento le “persone comuni”), e che quindi valutiamo solo sotto il punto di vista estetico. Davanti a un’opera d’arte figurativa hai un rapporto diretto, poi può piacere o non piacere, però è immediato, nessuno ti deve spiegare cosa tu stai ricevendo da quel determinato dipinto, scultura o palazzo.

Un altro ironico caso, ma che allo stesso tempo porta a riflettere riguarda una mostra di arte contemporanea di qualche anno fa dove un’addetta alle pulizie ha letteralmente spazzato via un’opera che a suo giudizio erano semplice sporcizia lasciata in giro dai visitatori. E questo perché? Perché NESSUNO GLIELO HA SPIEGATO, nessuno le ha detto che quei cocci di vetro erano un’opera in esposizione. Questa è in effetti la concezione, giustamente aggiungerei, dell’uomo nei confronti di certe opere d’arte contemporanea.

Paradossalmente possiamo anche dire che l’unica arte contemporanea che sarà sempre contemporanea sarà l’arte dei nostri antichi. Un Raffaello, un Pontormo o un Masolino sarà sempre attuale oggi come 500 anni fa, si dovrà vedere se le opere create attualmente tra mezzo millennio susciteranno una reazione omologa, tenendo presente il fatto che all’epoca l’arte prodotta era considerata innovativa, all’avanguardia. Ricordiamo che ciò che noi consideriamo un classico, veniva considerato dai nostri predecessori come contemporaneo e innovativo, il paradosso è che lo consideriamo contemporaneo tutt’ora, vedremo se un Cattelan susciterà lo stesso effetto tra qualche centinaio di anni.

Va detto che esistono diverse forme di arte contemporanea che sono ritenute “valide”. Quindi l’arte contemporanea buona esiste, non sempre infatti è quella che si vede sui magazine e più in generale sui media che la rendono ostica e talvolta anche giustamente di difficile comprensione per il grosso pubblico di “non addetti ai lavori”. E forse saranno queste le opere che, se riscoperte dai più, resteranno appunto contemporanee anche tra qualche centinaio di anni.

Oltre a questo fornisce un ottimo esempio la 57esima edizione della Biennale di Venezia, curata da Christine Macel la quale ha scelto un tema particolare per quest’anno. “Viva Arte Viva” recitano le insegne sparse in tutta la città (e non solo) che annunciano la mostra; la curatrice intende concentrare l’attenzione sulla figura dell’autore e come la sua immagine si rifletta nei suoi lavori: una sorta di ritorno all’Umanesimo. Numerosa è stata la presenza di giovani studenti e studentesse, la cui conoscenza nel campo era per la maggior parte limitata a qualche anno di lezioni su di un banco. Ma nonostante fossero arrivati un minimo preparati, il loro rapporto diretto con queste opere d’arte concettuale è stato simile a quello della emblematica donna delle pulizie descritta da Dalmazio Frau. Spazzate a parte, i ragazzi hanno seriamente giudicato in alcuni casi spazzatura ciò che vedevano. Composizioni disordinate, oggetti di uso comune messi a casaccio su di un tavolo, video di drag queen che cantano musica dance, insomma: un guazzabuglio di “cose” senza alcun senso. SENZA ALCUN SENSO. Dentro di loro? Niente. Nessuna emozione che non fosse disappunto o addirittura disgusto. Questo almeno finché non gli è stata rivelata tutta la storia che certi “orrori” si nascondevano dietro. La storia dell’autore: le sue sofferenze, le sue critiche, i suoi interessi e ciò che quella opera ha significato per lui o lei. Ciò poneva le opere d’arte sotto un’ottica completamente ribaltata e l’attenzione era concentrata nell’immedesimarsi il più possibile nell’artista e percepire ciò che aveva percepito lui, non curandosi dello spiacevole aspetto esteriore. L’opera d’arte in quel momento diventava molto più di quello che appariva in superficie.

Tirando le somme: dov’è il problema se un’opera d’arte contemporanea concettuale riesce potenzialmente a trasmettere le stesse intense emozioni del David di Michelangelo? La risposta ce l’ha già data Frau: l’arte concettuale va spiegata, serve qualcuno che ti dica “questa è arte” e ti spieghi anche il perché. E il David?…beh il David basta guardarlo!

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