Da sabato 21 ottobre il Maggio Musicale Fiorentino ripropone la rappresentazione dell’Elisir d’Amore di Gaetano Donizetti, andato già in scena nella stagione estiva a Palazzo Pitti con grande successo di pubblico e di critica, malgrado qualche riserva sulla regia da parte di qualcuno. Rappresentato per la prima volta nel 1832 al Teatro della Cannobiana a Milano, fu uno dei primi spettacoli con i quali Donizetti riuscì a far presa sul pubblico lombardo (e non solo) dimostratosi in precedenza non convinto dallo stile del suo melodramma. L’impresario Alessandro Lanari, che aveva in appalto la stagione del Teatro della Canobbiana, volle incontrare Donizetti per proporgli di comporre un’opera comica per quella stessa stagione. Il libretto sarebbe stato scritto da Felice Romani, il librettista più famoso del tempo, con il quale Donizetti aveva già collaborato. Non essendovi tempo sufficiente alla stesura di un nuovo libretto, Romani tradusse quasi alla lettera (dichiarandolo nella prefazione) un libretto del collega francese Eugène Scrib (Le philtre, musicato dal brillante compositore Daniel Auber) giungendo a un risultato molto superiore all’originale. La fretta certo non fece arretrare Donizetti che portò a termine la partitura in un lasso di tempo probabilmente superiore ai quindici giorni tradizionalmente attribuiti alla composizione dell’opera. L’Elisira ndò in scena il 12 maggio con un successo clamoroso che sancì, a poco più di un anno di distanza dal trionfo dell’ Anna Bolena, la definitiva conquista di Milano.
Questa opera segna la messa a punto di una propria via nel trattamento dello stile comico: e non è poco. Si pensi a quanto autorevole e ingombrante dovette essere per i contemporanei il modello rossiniano, e quanto difficile affrancarsene. Se tale modello informa gran parte delle opere comiche precedenti Elisir, a partire da questo titolo Donizetti trova una propria elaborazione dello stile comico tramite l’immissione dell’elemento sentimentale, estraneo al melodramma buffo rossiniano. Si attua un processo di ‘umanizzazione’ dei personaggi, sul piano musicale, attraverso l’individuazione di una tipologia melodica che evidenzia i tratti di ciascuno di loro (Ashbrook).
Nemorino (in questa edizione Juan Francisco Gatell) è colui che più di ogni altro nell’opera sviluppa la tematica del sentimento. Anche la condotta melodica di Adina (Mihaela Marcu)palesa la sua evoluzione psicologica: dall’esordio di ragazza capricciosa e volubile del primo duetto, dove il suo carattere è suggerito da una linea di canto ricca di fioriture, alla cantabilità malinconica dell’aria finale). Belcore (Marco Bussi)si esprime invece in toni maestosi, su ritmi in prevalenza puntati. Uno dei personaggi si riaggancia alla tradizione dell’opera buffa: Dulcamara (Fabrizio Beggi), il ciarlatano, contraddistinto da un canto prevalentemente sillabato, sull’orchestra che declina la linea melodica o comunque tematica. La stessa attenzione Donizetti riservò anche al coro, che riveste una parte fondamentale nell’immedesimazione nell’ambiente rustico-villereccio.
La regia di Pier Francesco Maestrini è molto particolare: con le scene di Juan Guillermo Nova , evidenzia gli spunti comici e surreali trasformando la vicenda di Nemorino, Adina e Dulcamara in una storia americana anni ’70. I contadini del libretto sono dei rednecks, Nemorino mantiene il carattere del sempliciotto di paese, ma qui gira in costume giallo …. da ragazzo pollo per fare da réclame all’Adina’s road food, dove lei e Giannetta indossano camicie a quadri annodate in vita e jeans decisamente short. A movimentare la vita di provincia arriva Dulcamara su una Buick rossa anni ’60 con le sospensioni molleggiate: da cialtrone consumato e simpatico, grassoccio e vestito di bianco con un gran sigaro, è il prototipo del “venditore di pentole”,anche se pretende di spacciare liquori odontalgici e miracolosi; mentre il sergente Belcore è una via di mezzo tra la caricatura del poliziotto irlandese panciuto e il sergente istruttore dei marines. Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino diretti dal maestro Fabrizio Maria Carminati; lo spettacolo andrà in scena le seguenti date:
Sab 21 ottobre, ore 20:00
Mar 24 ottobre, ore 20:00
Gio 26 ottobre, ore 20:00
La trama dell’opera:
ATTO I
Affaticati dal lavoro nei campi, i mietitori e la contadina Giannetta riposano all’ingresso della fattoria di Adina; questa sta leggendo in disparte mentre il timido Nemorino, di lei innamorato, la osserva da lontano. Un rullo di tamburi annuncia l’arrivo di un drappello di soldati capitanati da Belcore, un sergente così sfrontato da chiedere immediatamente la mano di Adina. La ragazza temporeggia e a Nemorino, che ancora una volta le ribadisce tutto il suo amore, si dichiara troppo volubile per legarsi a un solo uomo. Poco più tardi compare nel villaggio il Dottor Dulcamara, venditore di un miracoloso elisir capace di guarire ogni malanno. L’ingenuo Nemorino ne approfitta per chiedere un filtro che desti l’amore di Adina ma Dulcamara, che in realtà è un ciarlatano, gli vende del semplice bordeaux, assicurandogli effetti sorprendenti dopo un giorno soltanto. Bevuto il vino e certo del suo successo, Nemorino comincia a trattare Adina con sufficienza. La ragazza, indispettita da questo nuovo atteggiamento, decide che sposerà Belcore quella sera stessa. Nemorino, disperato, supplica inutilmente l’amata di rimandare le nozze al giorno successivo, quando l’elisir avrà finalmente effetto.
ATTO II
All’interno della fattoria sono in corso i festeggiamenti per il matrimonio. Nemorino, per accelerare l’effetto dell’elisir, vorrebbe acquistarne un’altra bottiglia; non avendo di che pagarlo è costretto ad accettare il consiglio prontamente suggerito da Belcore: farsi soldato e ottenere venti scudi. Nel frattempo le contadine, appresa la notizia della morte dello zio di Nemorino e dell’immensa eredità destinata al nipote, cominciano a corteggiare il ragazzo, destando la gelosia di Adina. Finalmente la ragazza si accorge di amare Nemorino e, dopo aver riscattato il contratto di arruolamento, gli dichiara il suo amore. A Belcore non resta quindi che rimettersi in cammino con la sua guarnigione mentre Dulcamara attribuisce il lieto fine alla formidabile virtù del suo elisir.