Charlie Gard, il bambino britannico di 10 mesi gravemente malato tenuto in vita artificialmente, se n’è andato da ormai 2 mesi. I medici dopo vari consulti avevano deciso di lasciare del tempo alla famiglia per stare col bimbo. La decisione di porre fine alla vita del piccolo, oltre che dal dolore, era stata resa difficile dalla pressante attenzione mediatica, nata in conseguenza della domanda di trasferimento negli USA per tentare l’ennesima cura sperimentale. La richiesta fu però rigettata dalla corte suprema del Regno Unito, sostenendo che avrebbe causato solo altre sofferenze al bimbo. I genitori presentarono allora un ricorso alla CEDU (Corte Europea dei Diritti Umani), la quale, rifacendosi alla tesi della corte suprema britannica, negò il trasporto. Dopo tale decisione i genitori chiesero di poter portare il figlio a casa per fargli passare i suoi ultimi giorni nel luogo che l’aveva accolto per i primi mesi di vita. Ma casa sua non era più adatta a farlo: i macchinari che lo tenevano in vita erano difficili da spostare e troppo ingombranti per poter stare in un posto tanto stretto. La vita di Charlie è così destinata a finire all’interno dell’ospedale il 28 luglio 2017. Valerio Verdiani è primario di medicina interna all’ospedale di Grosseto, dove ormai lavora da 5 anni. Precedentemente era vice primario a Careggi, nello stesso reparto. È laureato in medicina e chirurgia e specializzato in medicina interna, cardiologia e gastroenterologia.
Ha pubblicato vari articoli sulla rivista Toscana Medica, molti riguardanti la figura dell’Hospitalist, tipologia di medico esistente soltanto in America e che recentemente si sta impegnando a portare qui in Italia.
Nella sua carriera non si è mai occupato di una sindrome come quella di Charlie, caso del quale si è subito interessato
Cosa pensa della decisione dei genitori? Crede che si siano spinti un po’ oltre?
I genitori di Charlie si sono ripetutamente rivolti alle corti giudiziarie ed a tribunali internazionali contestando la decisione di interrompere i supporti vitali e quella di tentare approcci terapeutici sperimentali. Quest’ultime decisioni erano state prese in scienza e coscienza dai medici che avevano in cura il bambino ed erano in linea con quanto conosciuto al momento dalla comunità scientifica mondiale. Non so se i genitori di Charlie si siano spinti troppo oltre sul piano giudiziario, quel che credo è che giustizia e scienza dovrebbero stare su piani separati ed un giudice non dovrebbe discostarsi mai da quelle che sono le linee guida mediche internazionali che sono basate sull’evidenza scientifica (basti pensare ai danni prodotti anni fa dalle sentenze di giudici che si sostituirono ai medici per obbligare a curare pazienti affetti da cancro con la cura Di Bella o a cosa potrebbe succedere se un giudice sentenziasse che gli attuali vaccini obbligatori non debbano più essere obbligatori).
Da genitore come si sarebbe comportato?
E’ difficile rispondere a questa domanda. Penso che nessuno possa calarsi nemmeno nell’immaginare cosa può passare per la testa di un genitore che sta per perdere un figlio. Si tratta di un evento che valica la nostra capacità di raziocinio. Addirittura non esiste un termine che consideri tale situazione: un figlio che perde i genitori è orfano, ma nessuna parola è stata mai concepita per un genitore che perde un figlio. Probabilmente mi sarei fermato a quanto mi veniva esposto, magari sentendo più pareri specialistici.
E da medico?
Charlie era affetto da una malattia ereditaria che colpisce i mitocondri, organuli essenziali per la vita cellulare e quindi per la vita dell’individuo. Per quanto ne sappiamo, su Charlie erano state anche tentate terapie che, in forme lievi di quella malattia, avevano dato qualche risultato. Ma la malattia di Charlie era particolarmente grave: oramai non vedeva, non sentiva, non era capace del pur minimo movimento e solo le macchine gli garantivano il circolo del sangue e l’ossigenazione. Ciascun medico dovrebbe in primo luogo aver cura della dignità dell’essere umano e alleviare almeno la sofferenza. Mi sarei comportato come i medici inglesi.
Crede che sarebbe stato possibile agire in modo diverso per salvare la vita di Charlie? Come?
“Di fronte a malattie inguaribili salta sempre qualcuno in qualche parte del mondo che dichiara di avere la cura giusta per quel caso. Per fortuna la Medicina di questo secolo si avvale di quelle che sono le evidenze scientifiche. Oggi nessun medico può permettersi la frase ”per me questo farmaco funziona” se quel farmaco non è risultato efficace in rigorosi studi controllati. I cosiddetti “viaggi della speranza” alla ricerca di un guaritore – il più delle volte uno stregone o peggio un truffatore – sembrano essere in diminuzione. Per quanto riguarda le conoscenze, anche grazie al web, la comunità scientifica riesce ad andare di pari passo in tutto il mondo. Ciò che si sa a New York si sa a Londra, a Mosca, a Firenze… Ovviamente esistono centri più o meno attrezzati, ma nel caso di Charlie non credo che si sarebbe potuto agire in modo diverso.”