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IL TRAGHETTATORE (quando il fine non giustifica i mezzi)

 

Non è facile trovare nei ragazzi una capacità affabulatoria e narrativa capace davvero di conquistare e coinvolgere. Già nella nostra redazione abbiamo un paio di narratori niente male, ma ci è sembrato davvero bello e notevole questo racconto di Iman Zahra Favretto: viterbese, classe 2000, ha un curriculum letterario di tutto rispetto (soprattutto se si considera la sua età): è autrice di poesie, aforismi e novelle caratterizzati da una notevole capacità introspettiva e da una sensibilità davvero non comuni.  Studentessa del quarto anno del liceo artistico, abbina alla passione letteraria quella per il volo e il suo “sogno nel cassetto” è di concorrere concorrere per l’Accademia Aeronautica per il ruolo di pilota di caccia, seguendo le orme del nonno paterno, e successivamente alla European Space Agency. Le auguriamo dunque di … spiccare il volo e di realizzare tutti i suoi sogni, sperando però che continui a navigare anche nei cieli della letteratura.  Leomagazine ringrazia dunque la giovane autrice e la rivista online Nelfuturo web magazine di informazione e cultura, in cui il Traghettatore è stato pubblicato per la prima volta ( https://www.nelfuturo.com/il-traghettatore ) per averci permesso di pubblicarlo anche qui. E auguriamo a tutti buona lettura.

“Buonasera commissario è giunta l’ora di conoscerci, l’ho attesa per molto tempo, mi ha veramente stupito.  Lei è un uomo particolarmente intelligente e astuto ma queste doti l’hanno portata alla rovina.
Le racconterò la versione dal mio punto di vista, non abbia fretta arriverò al dunque in poco tempo ma curerò ogni particolare che lei ha omesso …”
Le multinazionali sono molto potenti ma infantili, non vedono oltre il profitto che traggono da ogni lavoratore in regola o non.
Nelle loro mani si governa gran parte della vita che abita la terra se non il futuro della terra stessa.
Fermiamoci dunque, per un momento, a riflettere; se posseggono tutto questo potere perché non utilizzarlo per far del bene?
Migliorerebbero la vita delle loro famiglie e, quindi, della futura prole ma non è il loro vero scopo.

Le multinazionali ricercano i soldi, una vita agiata, senza complicazioni.  Questo non potrebbe mai avvenire attraverso metodi giusti e salutari poiché troppo costosi.  Di conseguenza, ognuna di loro copre il suo vero volto con una maschera che fa leva sui bambini, sulle famiglie, sul basso costo in un periodo di crisi dovuto anche a loro stesse, perché?
Se quattro uomini avessero tutto questo potere, tutto questo sostegno, cosa li fermerebbe dal tenersi gran parte dei profitti arricchendosi impoverendo gli stati e di conseguenza i governi?
Ma questo non interessa molto alla popolazione, poiché quest’ultima è influenzata dalla pubblicità, funziona veramente bene la maschera delle multinazionali!  Non sono infallibili, per questo sono infantili.

Si perdono in poco, per esempio non pensano alle conseguenze che certi alimenti, oggetti, tessuti, a lungo andare possano provocare malattie all’organismo umano per non parlare dell’ambiente.
Controllare una multinazionale senza inciampare in trabocchetti di uomini curiosi che non credono nel commercio pubblicitario ma solo ai loro occhi, è davvero stressante e controproducente.
Oltretutto non tutte le multinazionali si sostengono, anzi in atto c’è una guerra continua che le fa autodistruggere, poche collaborano ma solo perché sono costrette per vendere e, quindi, ricavare di più.

Cosa  c’entra tutto questo con quello che è successo? Posso solo dirvi  “Abbiate pazienza …”

Ero il vice capo, amministratore della Mc Roland.  E’ una delle multinazionali tra le più potenti al mondo.  Mi giocavo bene il mio posto, sono sempre stato un uomo corretto e attento a ogni minimo dettaglio, non tralasciavo nulla e non facevo passare niente inosservato, ero un uomo d’onore.

Passavo le mie giornate a controllare l’apporto di carne al giorno, mi informavo su il quantitativo di acqua di cui avevano bisogno le enormi distese di piantagioni che possedeva la Mc Roland, calcolavo le vendite e i ricavi e amministravo il settore pubblicitario, un lavoro davvero duro.  Alla fine di ogni giornata stampavo le mie conclusioni su un foglio, che fossero pensieri, calcoli o spese, e li consegnavo al mio datore di lavoro, il capo della Mc Roland.  Ero un uomo schivo e riservato, non mi importava di quello che accadeva intorno, pensavo solo ai profitti, al massimo partecipavo alle interviste facendomi  vedere in pubblico sempre lindo e profumato come un giovane che aveva appena aperto le porte del mondo  senza saperlo.

In breve, questo era il mio lavoro ma con il tempo venni a conoscenza di uno strano giro di soldi tra i lavoratori e, avendo dei sospetti, infiltrai alcune spie che mi informarono sui fatti accaduti.

Sembrava che ci fosse un assassino misterioso, il “Serial Killer delle multinazionali“, soprannominato dalle vittime, i lavoratori, “il traghettatore”, o meglio “Caronte” perché, a quanto si diceva, trasportava le vittime con le cosiddette anime macellate al mattatoio e le uccideva triturandole vive.

Un vero maniaco ma sembrava non agisse da solo, si diceva che facesse rapire le vittime da alcuni suoi seguaci che le portavano al mattatoio dove venivano lasciate sole in presenza “del traghettatore“ e uccise, quindi, dal meccanismo di triturazione delle carcasse animali.

Inizialmente non ero molto spaventato da questo “traghettatore di anime macellate“ perché colpiva solo i lavoratori e non gli amministratori né i capi delle multinazionali, forse era solo un divertimento personale!

Ma ben presto iniziarono a sparire anche gli amministratori e dopo poco ci furono degli attentati per uccidere i capi, che però non vennero scalfiti, si erano creati  una bella corazza.

Analizziamo un attimo la situazione.  “Il traghettatore“ non permetteva ai funzionari di lavorare in armonia cosi molti si licenziarono, ben presto anche i clienti diminuirono e in tutto questo c’erano sempre gli animalisti, gli ambientalisti e gli umanisti che protestavano contro tutti noi. Eravamo alle strette, ovviamente si iniziò a sospettare di me poiché io ero l’unico amministratore ancora in vita, la verità e che solo io conoscevo la vera versione della verità poiché quest’ultima è singolare e non ha versioni discordi. Ma arriveremo al volto della verità molto più avanti.

E qui la incontrai commissario, proprio a questo punto della storia.  Lei era venuto a farmi delle domande poiché io ero l’amministratore della Mc Roland e conoscevo tutti i lavoratori.

 

Il commissario entrò in un ufficio che puzzava di naftalina e alcool, era un odore a lui familiare ma non riusciva a ricordarsi dove lo aveva sentito.  L’ufficio, come aveva detto la segretaria, era vuoto ma il commissario sapeva che presto l’amministratore sarebbe arrivato, lo aveva contattato lui stesso!                                                 

Attese, osservando attentamente la stanza, sembrava nuova come se non vi avesse mai lavorato nessuno. La scrivania era lucida e pulita, le matite appuntite vi erano poggiate sopra, non a caso ma con un ordine preciso: 3h,4h,5h, HB, 1B,2B… era un ordine maniacale. 

Il tappeto era bianco e su di esso non vi era traccia di polvere, dietro la scrivania si ergeva una strana costruzione, probabilmente design moderno, contenente libri e cd musicali, tra i quali Mozart, Vivaldi e Stravinskij.  Il pavimento ricordava molto quello degli ospedali.   Le pareti erano bianche e grigie con un solo quadro a decorarle, sembrava originale: La libertà che guida il popolo” di Eugène Delacroix datato 1830, il commissario amava l’arte, lo riconobbe subito ma per quel quadro, un ufficio, era una strana collocazione. 

Proprio mentre era preso da questi pensieri, arrivò l’amministratore.

“Buonasera commissario, ha visto che bel dì oggi!?“ Disse l’amministratore porgendo la mano al commissario che la strinse forte e la lasciò andare, pensando che la mano dell’amministratore era insolitamente forte e callosa per il lavoro che svolgeva, ma queste potevano essere  paranoie. L’amministratore si sedette, quindi, sulla poltrona dietro la scrivania e guardò attentamente il commissario. ”Mi dica commissario come posso risolvere i suoi dubbi, oggi sono a sua disposizione.“  Cosi dicendo si scostò un ciuffo di capelli ribelli dal viso e accavallò le gambe.  Era un amministratore molto giovane, notò il commissario. Alto, magro ma muscoloso con sopracciglia curate e capelli un po’ spettinati ma che stranamente davano ordine al tutto.  Portava una camicia a righe, una cravatta verde con riflessi violacei, pantaloni neri e scarpe di un numero piccolo rispetto alla corporatura ma ciò che veramente rendeva particolare quell’uomo erano gli occhi, uno marrone con sfumature gialle come pagliuzza e l’altro celeste come il mare con alla corona una sfumatura verde smeraldo.  Occhi stupendi, che fissavano il commissario con una strana calma.   Così quest’ultimo si decise a sedersi e iniziò con le sue domande.

“La prego di rispondere alle seguenti domande amministratore … Lei dove si trovava il 12 Novembre alle 23:00?“. “Risponderò alla sua domanda se lei mi darà la spiegazione per cui l’ha posta!”

Disse l’amministratore senza scomporsi, così il commissario dovette rispondere.  

“Penso sia giusto che lei lo sappia, sono stati ritrovati svariati cadaveri di funzionari e lavoratori nel mattatoio della città sotto la nostra amministrazione.  Di conseguenza il nostro lavoro ci impone di interrogare ogni persona che abbia avuto contatti con le vittime prima della morte e lei, amministratore, è uno dei primi …”  Dopo la spiegazione,  l’amministratore annuì e rispose alla domanda posta.

“Alle 23:00 io mi trovavo nei pressi di quel mattatoio ma ascolti prima di giudicare; avevo preso quella strada per arrivare a casa di un mio caro amico, ricordo solo di aver visto passare un furgone affiancato da due jeep nere, avevano le luci spente, era strano ma …” Venne interrotto dal commissario.

“Lei era ubriaco?” “ No commissario ve lo posso provare poiché prima di arrivare a casa di questo mio amico mi aveva fermato un poliziotto perché avevo un fanale rotto …” Rispose in fretta l ‘amministratore.

”Lo può chiedere a lui …” Il commissario scosse la testa. “Le credo, ma ora continui …”

“Dopo aver visto passare queste auto con le luci spente, ho continuato per la mia strada riflettendo sui volti lugubri di quelle persone alla guida.  Erano strani commissario, molto strani.“

Detto questo l’amministratore si alzò e andò alla finestra.   “Credo che questo possa bastare la ringrazio Amministratore!” Disse il commissario porgendogli nuovamente la mano.

”Arrivederci.“ Rispose l’amministratore contraccambiando la stretta che sembrava vagamente tremante rispetto a quella iniziale.

 

“Questo è stato il nostro primo incontro, devo ammettere che lei era molto attento ai dettagli ma ancora non  sono riuscito a capire come ha scoperto chi era l’assassino.”

 

Le indagini andavano avanti ma il commissario era tormentato da pensieri contraddittori che lo facevano sprofondare nella palude del dissidio.                                                                  

C’era qualcosa che gli sfuggiva, un particolare che finora aveva sottovalutato, ma lui aveva interrogato tutte le famiglie delle vittime, fra i macellai che lavoravano al mattatoio non vi erano sospettati neanche uno, eppure il commissario sapeva che una persona era riuscita a prendersi gioco di lui, ma chi?  Proprio in quel momento un poliziotto, che aveva lavorato a lungo con il commissario, arrivò di gran fretta.“ Commissario, commissario … la cercavamo in molti, risulta che l’amministratore sia scomparso, nei suoi alloggi non c’è da quasi tre giorni e la segretaria ci ha informati che non è entrato in ufficio dal suo ultimo interrogatorio.”   Disse il poliziotto con il fiatone. “Io l’ho interrogato un paio di volte, l’ultima penso sia stata in ufficio … si potrebbe richiedere un mandato per perquisire l’ufficio.“ Rispose il commissario camminando.                                                                   

Il poliziotto fu costretto a rispondergli. “Mi spiace commissario, mi avevano detto di informarla che lei è stato assegnato ad un altro caso …”  Il commissario lo guardò furente.  “Vede,  ogni volta che una persona si impegna e lavora sodo su un caso, puntualmente gli viene tolto, perché mi domando!”  Ma il commissario sapeva già la risposta, quindi stette in silenzio e annuì al poliziotto, che tornò al suo lavoro.                           

Il giorno dopo andò dalla segretaria dell’amministratore e inventandosi delle scuse le chiese se sarebbe potuto entrare nell’ufficio, lei credette alle scuse del commissario e gli diede il permesso di entrare da solo. L’ufficio era immutato, pulito perfetto. Il commissario avanzò e si fermò a osservare “la libertà che guida il popolo” e improvvisamente tutto gli fu chiaro: l’odore di naftalina e alcool era cosi familiare perché era l’odore che rimaneva impregnato sui corpi delle vittime del traghettatore, c’era altro, l’amministratore si era contraddetto, diceva di aver visto passare delle macchine con le luci spente, quindi come aveva fatto a vederne i volti tanto da farglieli sembrare lugubri?! Ogni volta che il commissario interrogava l’amministratore fino a tardi, quest’ultimo stranamente aveva sempre dei lavori da svolgere molto importanti, le mani forti e callose erano segno di una persona che svolgeva lavori pesanti ed ecco la spiegazione per la collocazione del quadro in un ufficio.  L’amministratore si paragonava alla donna, una figura con carattere allegorico che stava ad indicare la patria e la libertà sotto forma di  divinità e donna del popolo, rappresentata sovrastante gli altri personaggi pur rimanendo in secondo piano.  Ora la domanda era come incastrarlo?  Non vi erano prove concrete e anche se ci fossero state non sarebbe cambiato molto poiché il commissario era stato assegnato ad un altro caso e trasgredire in questo modo poteva portare al licenziamento; quindi cosa fare?  Il commissario cominciò a camminare per l’ufficio dell’amministratore, si ricordò di come quest’ultimo cercasse sempre di allontanarlo dal quadro come se custodisse qualcosa di importante. Ma cosa? E dove?

Il commissario si avvicinò al quadro, lo sollevò e vi trovò, incastonata nel muro, una piccola cassaforte, non era a numeri ma a lettere, quindi probabilmente il codice doveva essere una parola.  Sopra alla cassaforte incisa nel muro c’era una scritta:

“Colui che la possiede non la governa, colui che la governa non la possiede”.  

Il commissario capi subito cosa significava, spinse i tasti della cassaforte nel seguente ordine: L-I-B-E-R-T-A’.

La cassaforte si aprì subito, era praticamente vuota, all’interno c era solo un piccolo libricino.  Il commissario lo prese e lo aprì … vi erano scritti tutti i nomi delle vittime, i luoghi, gli orari e i giorni in cui sarebbero state uccise. Per il commissario questo cambiava tutto, il libricino era una prova spiazzante, lo sfogliò sino all’ultima pagina dove trovò scritto :

20 novembre impiegato = sfruttatore dei bambini della Pike alle 23 :00 al Mattatoio

Il commissario guardò l’orologio erano le 20:00 si sarebbe dovuto sbrigare, ma non poteva andare al suo dipartimento, lo avrebbero trattenuto  l’unica cosa da fare era mettere al sicuro il libretto nelle mani di un buon poliziotto e cercare di rallentare la carneficina.  Uscendo dall’ufficio salutò la segretaria e se ne andò a passo svelto.

Portò immediatamente il libricino dal suo fidato amico poliziotto e senza rispondere alle sue domande corse al mattatoio, la strada era bagnata e dovette fare attenzione che la macchina non sbandasse, era inverno e ormai la notte era buia e tetra, il cielo coperto non permetteva neanche ai fasci lunari di illuminare il terreno umido e bagnato, sembrava che le tenebre si stessero impadronendo del pianeta, il buio era impenetrabile e i fari rischiaravano di pochissimo la strada, tanto che il commissario, seppur un grande autista, dovette rallentare intimorito.

 Sembrava che la natura stessa, stesse cercando di rallentare il commissario, quella era una notte da brividi, fredda, buia, viva per quanto inanimata. Si iniziarono a scorgere le prime luci esterne del mattatoio, il commissario allora  rallentò un po’.

Arrivato davanti al mattatoio accostò la macchina vicino all’uscita posteriore ed entrò.
Stranamente la porta era aperta bastò spingerla e si aprì senza far rumore.

La stanza che gli succedeva era fredda, le luci schiarivano la carne delle carcasse animali attaccate per le zampe al soffitto, c’era odore di sangue putrido, di vecchio. Il commissario non avrebbe mai dimenticato quell’odore di morte e disperazione.                     

Gli animali erano divisi; i primi gocciolavano sangue dalle narici e da un taglio sotto la gola, i secondi erano spellati con le ossa che fuoriuscivano dalla carne e gli ultimi erano divisi a metà, erano stati ripuliti, non avevano un cuore non avevano più organi.  Il commissario si strinse nel cappotto e si fece largo fra le carcasse alla ricerca di una porta comunicante con la stanza successiva.  La trovò nel lato corto della stanza, era aperta e bene illuminata da un fascio di luce calda, il commissario la varcò quasi correndo e si ritrovò davanti l’amministratore che si stava infilando un camice bianco già insanguinato. L’amministratore si girò e disse “ Buonasera commissario qual bel dì l’ha portata oggi qui?“  Il commissario non riuscì a trattenersi e lo dichiarò in arresto spiegandogli tutto ciò che lui aveva scoperto, detto questo l’amministratore sorrise e scosse la testa “Allora commissario è giunta l’ora di conoscerci, l’ho attesa per molto tempo, mi ha veramente stupito.  Lei è un uomo particolarmente intelligente e astuto, ma queste doti l’hanno portata alla rovina.  Le racconterò la versione dal mio punto di vista, non abbia fretta arriverò al dunque in poco tempo ma curerò ogni particolare che lei ha omesso … lei non conosce il mio nome ma può chiamarmi Caronte ”.

 

“Dunque è qui che mi ha scoperto commissario, a questo punto della storia  sono sicuro che si starà domandando: perché? ogni domanda esige una risposta.  Posso sembrare un serial Killer senza cuore, né ideali, spietato e sanguinario, ma c è un perché che mi spinge ogni giorno a farlo  ed è la libertà della verità. Vede, commissario, le multinazionali sono solo maschere, come già le ho spiegato, celano la verità imprigionando la libertà, lei mi chiederà perché non uccidere allora solo i capi, beh un uomo da solo può seminare un’idea ma ha bisogno di aiuto per farla crescere e germogliare e tutti lavoratori che pur sapendo di sfruttare bambini, animali, pur sapendo gli effetti che provocano nelle persone e nell’ambiente e pur conoscendo i rischi e pericoli, hanno continuato a lavorare in nome, neanche di un Dio ma di una vita dignitosa, fatta solo di cose materiali, i soldi.  Vede commissario ormai non esistono più i sentimenti, non esiste curiosità, la popolazione crede in ciò che gli viene mostrato, che sia vero o falso non importa è la loro verità, ma le sembra vero tutto questo le sembra libero?  Io uccido perché solo la morte scuote e risveglia le persone.   Le dovrebbe vedere commissario, prima di morire si illuminano, ricordano, piangono, si agitano ma ancora vivono e si rendono conto di quanto la verità sia crudele e di quanto la libertà sia irraggiungibile.  E’ davvero strano ma, vede, quando muoiono sono tutti uguali, quando cadono in quel macchinario sono come gli animali, indifesi, senza possibilità di scampo, maltrattati e ingiustamente uccisi nel nome di una libertà fittizia creata da un uomo affetto da problemi cronici; è questo che mi dicono  ed è quello che a volte penso e spero.  Lo sa, tanto tempo fa avevo una famiglia, una bambina, un bambino e una moglie, li amavo commissario.  Ogni giorno regalavo loro un sorriso, un cioccolatino, una parola dolce, li portavo a scuola e aiutavo la loro madre a pulire la casa un mio mondo perfetto.”

“Cosa è successo alla sua famiglia?”  Chiese il commissario rimanendo attento.

“La mia famiglia è morta, prima mia figlia lottando contro il maltrattamento degli animali della Mc Roland e di molti altri allevamenti, fu uccisa per errore, non ho mai saputo come.  Mio figlio morì poco tempo dopo battendosi contro lo sfruttamento minorile dall’Africa alla Cina, non lo vedevo mai e un giorno scomparve; ritrovarono il suo corpo molto tempo dopo, in un campo, poi toccò a mia moglie che si ammalò di cancro, lo sa a cosa era dovuto?!   All’inquinamento dell’acqua e di alcuni cibi.   Commissario non mi è rimasto nulla.  Quello che sto facendo non è per vendetta è per evitare che succeda ancora, magari ad un’altra famiglia come la mia.”

“E lei non pensa che uccidendo queste persone stia distruggendo intere famiglie, pensa che questo sia diverso?”

“Non ho mai pensato che questo fosse giusto, mi pento del dolore che ho provocato a queste famiglie ma chi sapeva meritava!”

“E lei è sicuro che tutti questi uomini sapessero?“ Chiese il commissario avvicinandosi cautamente.

“Tutti quelli che ho ucciso sapevano, ai restanti non c‘è stato bisogno neanche di mostrare se ne sono andati di loro spontanea volontà.  Commissario è inutile che lei cerchi di distrarmi, lei ormai mi ha scoperto e io merito di morire in questa notte tetra.”

“Perché mi ha raccontato questo?”  Gli chiese il commissario avvicinandosi ancora.

“Perché qualcuno sapesse e conoscesse la verità della libertà.  Tutto ciò che ho fatto, l‘ho fatto per la libertà di una popolazione ormai morta dentro, una popolazione che ha imprigionato le proprie anime e distrutto le diversità.  Le ho raccontato questo perché smetta di guardare ed inizi a osservare e vedere il vero.”  Detto questo il traghettatore si lanciò nel meccanismo di triturazione suicidandosi.

Il commissario non fece in tempo a prenderlo, non si sentì nemmeno un gemito, la sua morte fu silenzio come quelle di innumerevoli vite nel mondo …

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