Teatro pieno per l’ultimo capitolo della triade pucciniana. Un pubblico che riempie, ma fino al secondo atto tarda un po’ a farsi sentire, soprattutto per quanto riguarda lo straordinario Cavaradossi di Stefano La Colla, che anche solo per l’incredibile dizione avrebbe meritato sin dall’inizio applausi da far venire giù il tetto. Nel panorama dell’opera lirica, dove una tra le lamentele più comuni tra gli spettatori meno navigati è il dover spostare continuamente lo sguardo dalla scena ai sopratitoli per seguire il libretto, è più unico che raro poter capire il testo cantato senza dover ricorrere al famigerato pannello complementare. Eccezionale anche la potenza vocale e la presenza scenica di La Colla, che riesce a monopolizzare l’attenzione anche in posizioni “scomode” (si pensi, ad esempio, a quanto Cavaradossa si accascia sanguinante sul palco).
È quindi un peccato che il pubblico non abbia saputo lasciarsi andare: ma prima che il sipario cali per l’ultima volta, finalmente fa la dovuta confusione nel salutare questo grande tenore.
Mirabile anche la Tosca di Francesca Tiburzi, fantastica negli acuti e con un timbro ora dolce, ora aggressivo e il piglio di donna forte cosciente della propria sensualità. Unica pecca, a voler cercare il pelo nell’uovo, è il volume che, soprattutto nel primo atto, non sempre riesce a sovrastare l’orchestra.
Discreta dizione ed energia per lo Scarpia di Angelo Veccia, a cui però manca forse un po’ di cattiveria. Ma, alla fine dello spettacolo, il pubblico gli grida lo stesso un numero di “bravo!” di tutto rispetto.
Ruoli minori ma svolti lodevolmente quelli del sagrestano, di Angelotti e del canino Spoletta, rispettivamente Nicolò Ceriani, Luciano Leoni e Rim Park.
Straordinaria anche l’orchestra che, guidata dalla bacchetta di Valerio Galli, riesce a rendere del tutto giustizia all’opera pucciniana.
La scenografia, firmata Tiziano Santi, è un grosso contenitore, che nel primo atto fa da cripta, nel secondo da sala da pranzo, e nel terzo da cella. Di tanto in tanto, la parete di fondo si apre, rivelando una sorta di deambulatorio che divide in due la scena, come accade, ad esempio, al momento del suicidio di Tosca, quando sul fondo si spalanca un riquadro di luce abbacinante su cui si staglia la sagoma di un’ala gigantesca.
Certe scelte scenografiche dell’Opera avranno anche destato, di quando in quando, qualche perplessità nel pubblico, ma questa volta l’espediente funziona, e l’ambiente si amalgama bene con la scena in atto.
Un gran finale, insomma, per un settembre tutto Puccini che volge ormai al termine. Le repliche, però, andranno avanti fino a domenica 1.