In una sala del pianterreno del Mütter Museum di Philadelphia, in una collezione scientifica che ha a che fare per lo più con “stranezze” mediche ed esempi di qualcosa che non ha funzionato all’interno del nostro organismo, si fa spazio ciò che affascina maggiormente i visitatori: una scatola di legno contenente 46 vetrini, ognuno dei quali mostra un frammento del cervello di Albert Einstein, esempio delle potenzialità di una mente eccezionale. Il contributo che dette lo studioso alla fisica fu grandioso: quando formulò la teoria della relatività generale intuì, senza altri strumenti a disposizione se non la forza dei suoi pensieri, che corpi massicci in accelerazione producono increspature nel tessuto dello spazio-tempo; due secoli dopo, mediante tecnologie di calcolo sofisticate, vennero scoperte le onde gravitazionali.
Nel corso del tempo vi sono stati numerosi personaggi che si sono distinti per le loro scoperte in determinate discipline, basti pensare a Michelangelo per la maestria artistica, Marie Curie per le scoperte scientifiche o Dante per le sue eccezionali doti letterarie e molti altri ancora. Di fatto, però, che cos’è un genio? Spesso l’intelligenza, una qualità misurabile, è considerata la caratteristica principale del genio. Tuttavia lo psicologo Lewis Terman dell’Università di Standford era convinto che i geni si potessero individuare mediante test per il calcolo del quoziente intellettivo. Negli anni ’20 lo studioso iniziò a osservare 1500 campioni di scolari californiani con un QI superiore a 140, soglia alla quale un individuo è considerato un “quasi genio”, per vedere come avrebbero trascorso il resto della loro vita. Lo psicologo ed i suoi collaboratori osservarono che se era vero che molti dei campioni finirono università prestigiose, era pur vero anche che altri faticarono ad essere ammessi al college ed a farsi strada nella vita. Queste sono prove del fatto che una notevole intelligenza non è garanzia di successi nel corso della vita. Un altro ingrediente fondamentale è la creatività, infatti, come lo stesso direttore dell’Imagination Institute di Philadelphia, Scott Barry Kaufmann ha potuto constatare, il momento dell’illuminazione appare all’improvviso, dopo un periodo di osservazione, quando il cervello elabora a livello inconscio la soluzione. Le grandi idee in genere non vengono quando ci si concentra troppo su un problema. Un segno di creatività è il fatto di riuscire a collegare concetti apparentemente molto distanti tra loro. Uno studio effettuato da Andrew Newberg direttore del Marows Institute of Integrative Health consiste nel sottoporre i partecipanti a normali test di creatività facendo loro trovare un nuovo uso ad un oggetto comune; nel mentre, vengono sottoposti a una risonanza magnetica a contrasto che ha come obiettivo quello di mappare le vie neurali del cervello delle persone creative per vedere come esse interagiscono tra loro. Dai risultati emerge che il cervello di un “genio” presenta numerose zone rosse, verdi e blu nelle sezioni cerebrali. La macchia rossa di ogni immagine è il corpo calloso, composto da oltre 200 milioni di fibre nervose che collegano i due emisferi cerebrali e facilitano la connettività tra le due parti. La sezione rossa di un “genio” risulta essere il doppio rispetto a un soggetto normale e ciò significa che vi è maggiore comunicazione tra emisfero destro e sinistro. Newberg afferma che: “I loro processi di pensiero sono più flessibili perché ricevono più contributi da parti diverse del cervello”. Dal punto di vista genetico si è oggi in grado di esaminare alcune caratteristiche umane a livello molecolare. Gli scienziati hanno cercato di identificare geni che contribuiscono all’intelligenza, al comportamento e addirittura a doti speciali come l’orecchio assoluto. Il corredo genetico però non è garanzia di successi certi; ad esso si aggiungono le influenze sociali e culturali che possono creare situazioni fertili per l’espressione del genio. Un esempio può essere Terence Tao, uno dei matematici più brillanti dei nostri giorni. Fin da bambino manifestò notevole padronanza del linguaggio e dei numeri ed i suoi genitori gli fornirono libri e giocattoli tali che lui potesse coltivare le sue abilità. Tuttavia, la tenacia per raggiungere i propri obiettivi, che spinsero per esempio Darwin a completare e poi perfezionare per vent’anni il suo libro “L’origine della specie” dipendono da una combinazione di passione e perseveranza, qualità che, la psicologa Angela Duckworth chiama “grinta”. Lei stessa sostiene che per quanto una persona possa essere brillante, la forza d’animo e la disciplina sono cruciali per il successo. In conclusione, un QI superiore a 140 è necessario, ma non sufficiente per diventare geni; per essere tali servono numerosi altri ingredienti.