Le condizioni di salute del Mar Mediterraneo sono precarie. È una triste realtà per il mare che da sempre è stato considerato la “culla” della civiltà occidentale. Con una superficie di 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati, il Mediterraneo è uno dei mari più piccoli del nostro pianeta: risulta tuttavia il più inquinato.
Questa è la denuncia fatta da Goletta Verde 2017 di Legambiente. L’associazione, a seguito di un viaggio lungo i 7.412 chilometri di costa italiana, ad agosto ha presentato il bilancio della situazione che è risultato ben poco rassicurante. Su 260 punti testati, sono 105 (il 40%) i campioni di acqua risultati inquinati, con cariche batteriche al di sopra dei limiti di legge. Tra questi, ben 38 sono stati definiti da Goletta Verde “malati cronici”: si tratta di quei punti che sono risultati inquinati mediamente negli ultimi 5 anni e sono concentrati soprattutto nel Lazio, in Calabria, in Campania e in Sicilia.
“Dei 105 campioni di acqua con cariche batteriche elevate, l’87% è stato prelevato alle foci di fiumi, torrenti, canali, o nei pressi di scarichi, che si confermano i nemici numero uno del nostro mare. Il restante 13% è stato invece prelevato presso spiagge affollate di turisti” dichiara l’associazione.
Quali le cause di questa situazione? Si tratta principalmente di un inquinamento legato alla presenza di scarichi fognari non depurati che purtroppo ancora oggi, si riversano in mare, soprattutto nella stagione estiva, e che costituiscono una minaccia per il mare, la salute dei bagnanti e la biodiversità.
I dati che Legambiente ha tratto dal portale Urban Waste Water Treatment Directive site for Europe mostrano infatti che in Italia solo il 41% del carico generato subisce un trattamento conforme alla direttiva UE, rispetto ad una media europea del 69%. Su 28 paesi l’Italia si classifica al 23esimo posto: solo il 54% dei depuratori e degli impianti di trattamento risulta conforme, ed elevati sono gli scarichi che non subiscono alcun tipo di trattamento depurativo.
Questi dati hanno portato a pesanti sanzioni per l’Italia pari nel 2017 a 62,7 milioni di euro una tantum, da versare all’Unione Europea, a cui si aggiungono 347 mila euro per ogni giorno sino a che non saranno sanate le irregolarità.
Le cattive notizie non finiscono qui. “Il Mediterraneo” aggiunge Legambiente, “è uno dei mari più minacciati dai rifiuti galleggianti e spiaggiati, frutto della cattiva gestione a monte, dell’abbandono consapevole e della cattiva depurazione”. Su 46 spiagge monitorate dall’associazione sono stati trovati quasi 7.000 cotton fioc! All’immondizia sulle spiaggie si aggiunge poi l’immondizia a pelo d’acqua, composta per il 96% da plastica: si tratta di buste (16,2%), teli (9,6%), reti e lenze (3,6%), frammenti di polistirolo (3,1%) e bottiglie (2,5%).
A questo proposito ha detto la sua anche Greenpeace che, da un paio di mesi, sta perlustrando il “mare nostrum” con la sua nave Rainbow Warrior. I risultati delle analisi delle coste spagnole mostrano come la situazione non risulti così critica solo per l’Italia. Qui si contano 33 pezzi di spazzatura galleggianti per metro quadro, di cui i tre quarti sono di plastica. Anche se in mare aperto la densità di spazzatura galleggiante si abbassa, il peggio sta sul fondo: in media nei fondali mediterranei si contano 1.935 “pezzi” per chilometro quadrato, che è la densità più alta di tutti i fondali oceanici del pianeta. All’inquinamento da rifiuti solidi si somma l’inquinamento fluido, o liquido. Le Nazioni Unite calcolano che ogni anno vengano riversati nel mar Mediterraneo migliaia di tonnellate di liquami, oli minerali, mercurio, fosfati e piombo. L’Unep (United Nations Environment Programme) stima inoltre che ogni anno finiscano nel Mare Nostrum 100-150 mila tonnellate di idrocarburi, tanto che la sua densità di catrame risulta essere la più alta del mondo. E dal momento che si tratta di un mare “chiuso”, se servono tra gli 80 e i 100 anni per rinnovare la sola massa d’acqua superficiale, si sale a 7mila se consideriamo l’intero volume! “La prima cosa da sapere” afferma Greenpeace “ è che ogni cosa che usiamo sulla terraferma va a finire in mare, e che il problema va affrontato all’inizio della catena dell’inquinamento, non alla fine.”