Il 9 Maggio 1567, esattamente 150 anni fa, nacque a Cremona uno dei più grandi geni musicale italiani, protagonista tra l’altro della nascita del melodramma. Compì i primi studi musicali sotto la direzione del maestro di cappella del Duomo Cremonese Marcantonio Ingegneri, il quale lo formò soprattutto nel canto e a suonare la viola, ma si preoccupò anche di introdurlo nel mondo della composizione. Dei suoi primi anni passati a Cremona sappiamo giusto quello che lui stesso scrisse nei frontespizi e nelle dedicatorie dei suoi primi due libri di Madrigali: egli cercò impiego presso le corti di Verona e Milano fallendo, ma trovò finalmente lavoro a Mantova alla corte dei Gonzaga, come violista. A Mantova deve molto: è proprio lì che sotto la guida del fiammingo Jacques de Wert iniziò a sviluppare il suo particolare stile madrigalistico sempre più incentrato sulla poetica degli affetti e sulla subordinazione della musica al testo poetico. Il primo esempio della sua nuova personalità musicale lo troviamo nel Terzo Libro dei Madrigali (1592) dedicato al duca Vincenzo I, dove all’interno di un’ossatura polifonica applica già tutti i principi della poesia degli affetti, in particolare nei madrigali composti sui testi di Torquato Tasso – di cui musicherà in seguito il Combattimento di Tancredi e Clorinda (1624) nel quale la purezza del canto enfatizza le passioni, la cui espressione viene invece affidata principalmente agli strumenti: si tratterà di uno dei suoi capolavori assoluti. Il Terzo Libro ebbe un successo strepitoso, al quale seguì una spedizione a Vienna al seguito del duca, durante la quale fece moltissima buona musica a Praga, Linz, Vienna e in molte altre città e il suo nome si diffuse in tutta Europa.
Tornato a casa, decise bene di sposarsi con una cantatrice alla corte dei Gonzaga, Claudia Cattaneo, inaugurando così un periodo di produzione “barocca” per la quale sarà poi criticato da G. M. Artusi, “rivale” ottuso e pedante. In tutta risposta a queste critiche, scrisse il Quarto (1603) e il Quinto (1605) Libro dei Madrigali, dove tutti gli espedienti formali già sperimentati nel Terzo vengono notevolmente amplificati. Nel Quinto, inoltre, introduce il basso continuo: una linea melodica affidata al basso, che doveva sostenere le linee vocali. L’Artusi non si diede per vinto dando vita a un botta e risposta in cui intervenne anche Giulio Cesare Monteverdi, fratello del compositore e musicista a sua volta. Queste polemiche non influirono minimamente sulla carriera del compositore, che proseguì a gonfie vele: nel 1601 succedette a Benedetto Pallavicino (che a sua volta aveva preso il posto di Jacques de Wert, morto nel 1596), come direttore della cappella della corte mantovana, una corte che era alla pari con quella degli Este a Ferrara e quella dei Medici a Firenze, nel campo dello sperimentalismo musicale.
Nel 1607, la corte di Mantova assiste alla rappresentazione dell’Orfeo, che segnò un notevole passo avanti nello sviluppo del melodramma, o meglio della favola in musica, nata solo sette anni prima alla corte fiorentina. In esso e nelle istanze liriche e descrittive suggerite dal testo, trovano i loro fondamenti tutte le innovazioni dei madrigali, facendo cadere le ultime resistenze e spianando la strada al linguaggio Barocco. Monteverdi conosceva il lavoro e le teorie della Camerata Fiorentina, ma da spirito pratico qual era le aveva liquidate come “Oscurissime zìfere, et peggio“. Al grandissimo successo ottenuto, seguì però la morte della moglie Claudia. Il dolore che ne derivò si riflette nelle armonie lancinanti di molti dei madrigali del Sesto Libro (1614), il più cupo e doloroso tra gli altri Libri. Nonostante il lutto, i Gonzaga incaricarono il vedovo della composizione dell’Arianna, in occasione del matrimonio di Vincenzo con Margherita di Savoia, del quale ci è pervenuto solo il celeberrimo Lamento (Lasciatemi morire) oltre a molte altre composizioni. Dissapori e incomprensioni con i Gonzaga lo spinsero ad allontanarsi dalla corte cercando impiego presso papa Paolo V, per il quale scrisse un monumentale Vespro, il primo grande capolavoro della musica sacra barocca. Venne quindi licenziato dalla corte di Mantova e dopo un periodo particolarmente duro si trasferì a Venezia, diventando Maestro di Cappella della Cattedrale di San Marco (1613). I lavori che qui compose non sono in nulla inferiori a quelli precedenti, inoltre gli impegni della cappella di San Marco lo lasciavano libero di accettare committenze da altre città. In seguito al pentimento dei Gonzaga di averlo licenziato e alla loro richiesta di tornare al loro servizio, compose per loro il Concerto o Settimo Libro dei Madrigali (1619) Ma, nonostante il vertice artistico raggiunto ancora una volta, le contrattazioni finirono a vuoto, come quella che seguì poco dopo. Nel frattempo, inviò lavori agli Este, ai Farnese di Parma, soprattutto musica per il teatro. Non potendo arrivare agli Asburgo per vie indirette, tentò la via diretta, dedicando, nel 1638, al nuovo imperatore Ferdinando III, i suoi Madrigali guerrieri et amorosi, una raccolta di pezzi d’occasione già composti in precedenza (tra gli altri, il Combattimento e il Ballo delle Ingrate) e di pezzi nuovi appositamente composti, dove sperimenta nuove tecniche e stili, riuscendo a fondere in modo mirabile e unico lo stile contrappuntistico, il rappresentativo e i madrigalismi in un linguaggio personalissimo. In quell’anno la fama del compositore non aveva più confini: tutte le sue raccolte di madrigali precedenti furono riedite almeno una volta, evento unico nella storia!
Arrivato alla veneranda età di 72 anni, il Cremonese non mancò di certo di sperimentare la nuova grande impresa commercial-musicale che proprio in quegli anni muoveva i primi passi nella Serenissima Repubblica: il teatro musicale a pagamento, non più per corti e palazzi, ma per luoghi appositi dove il pubblico doveva pagare, per entrare.
In questo ambiente, venne rappresentata l’Arianna, scrisse ex novo Il ritorno d’Ulisse in patria, le nozze d’Enea in Lavinia e L’Incoronazione di Poppea. Quello stesso anno 1643 che vide il suo trionfo con quest’opera sublime ne vide anche la morte.
Ebbene sì, signore e signori, parliamo di Claudio Monteverdi! un genio straordinario e un grande uomo che a differenza della star del Barocco letterario Giovan Battista Marino era lontanissimo da qualsiasi divismo o smania di protagonismo. Un esempio? Se fossero vissuti oggi l’autore dell’Adone sarebbe andato a caccia di like su Facebook e sui social, mentre lui, il Michelangelo della musica, avrebbe sprezzantemente commentato : Stupidissime Zìfere!