L’atmosfera è elettrica, i Beatles sono sotto pressione. La presenza ingombrante di Yoko Ono, i rancori personali e le tensioni interne rendono la situazione insostenibile.
10 Aprile 1970, i Beatles si sono sciolti.
Non può finire così, non si possono cancellare in un attimo i dieci anni di produzione discografica più influenti del Novecento. Serve un congedo, un saluto, un lieto fine per una delle band più amate e controverse della storia. Serve un album, forse il vero e proprio album, ed ecco che, 47 anni fa, l’8 Maggio del 1970, esce Let It Be, l’album testamento.
Un progetto di ritorno alle origini, ben definito, la volontà è quella di comporre un disco dal vivo, senza nessuna delle tecniche consuete dello studio di registrazione – niente effetti, niente overdub – . In poche parole: “musica senza trucchi”. Dopo due settimane di prove a Twickenham, i FabFour (letteralmente i fantastici quattro) decidono di continuare il progetto nella sede della Apple, al 3 di Saville Row.
L’ambiente non adeguato alla registrazione e le frizioni tra i componenti spingono George Harrison, il tuttofare del gruppo, ad ingaggiare un quinto elemento per risanare i rapporti e concludere meglio e più rapidamente il disco, il tastierista jazz Billy Preston.
L’arrivo di Preston giova realmente al gruppo che, rigenerato, decide di dare un concerto il 30 Gennaio, sul tetto dello stabile. Nel quartiere i curiosi, sorpresi, si affollano in strada, giù in basso. Interviene la polizia, l’evento si interrompe. Sarà questo, sfortunatamente, l’ultimissimo concerto dei Beatles.
Una volta registrati tutti i nuovi pezzi, i Beatles, insoddisfatti del risultato, affidarono le registrazioni al produttore statunitense Phil Spector, famoso per il suo “muro del suono”, che decise di applicare i suoi metodi. Questo fu causa dell’ennesimo litigio all’interno del gruppo: McCartney vide infatti pubblicato il disco con alcuni suoi brani stravolti (soprattutto The Long and Winding Road che fu infatti modificata da Spector con l’aggiunta di violini e cori celestiali), mandandolo su tutte le furie . Paul cercherà di opporsi alla pubblicazione del disco, ribattezzato Let It Be e non Get Back come da programma. L’album fu comunque pubblicato l’8 maggio 1970, quando oramai il gruppo non esisteva più.
La storia non finisce qui, perché la versione originaria, concepita senza artifici e arrangiamenti esterni, verrà pubblicata solo nel 2003 con il titolo “Let It Be…Naked”.
Omonima del titolo dell’album, Let It Be, nonostante l’arrangiamento stravolto, viene ricordata tutt’oggi come uno , se non il più grande successo dei Beatles, al pari di Hey Jude, Yesterday o Yellow Submarine. La canzone viene percepita come un singolo dalla connotazione spirituale, le parole “ Mother Mary” la rendono quasi religiosa, tanto da attirare le critiche persino da un membro interno al gruppo come John Lennon, il quale l’apostrofò come completamente estranea alla natura dei Beatles.
All’interno dell’album si fanno apprezzare, dalla critica e dei fan, molti altri brani quali: Two of Us ,Dig a Pony, Across the Universe , I Me Mine , Maggie Mae, I’ve Got a Feeling , One After 909 , The Long and Winding Road For You Blue , Get Back.
Menzione speciale spetta soprattutto a due brani: Two of us e The Long and Winding Road. La prima apre di fatto l’album, brano che sembra sancire una ritrovata armonia tra John Lennon e Paul McCartney grazie ad un duetto delicato ed armonioso, mentre la seconda segna di fatto la fine dei Beatles. La canzone ebbe una storia tempestosa e costituì l’elemento scatenante che portò allo scioglimento del gruppo. Negli ultimissimi giorni di mixaggi e montaggi, il produttore Phil Spector decise, senza consultarsi con McCartney, di condire pesantemente l’originaria traccia con cori e abbondanza di archi. Il lavoro di Spector in studio risultò dubbio persino a un carattere docile e bonario come quello di Ringo Starr, l’unico componente presente in sala.
Perciò oggi, 8 Maggio 2017, a distanza di quasi cinquant’anni, è doveroso far tornare alla memoria la grandiosità e l’importanza delle opere che quei quattro artisti di Liverpool ci hanno lasciato.
Let it Be.