E’ stato scoperto il meccanismo all’origine della malattia della memoria, conosciuta come morbo di Alzheimer o semplicemente Alzheimer.
La malattia è una forma di deterioramento mentale o di demenza, caratterizzata, nelle prime fasi, da perdita di memoria a breve termine, e in stadio avanzato, anche a lungo termine accompagnata da altri sintomi come afasia, disorientamento e cambiamenti di umore.
Oggi la patologia colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e il 20% degli ottantenni; secondo alcune proiezioni i casi potrebbero triplicarsi nel prossimi 30 anni nei paesi occidentali.
Fino a poco tempo fa si pensava che la malattia fosse causata dalla degenerazione di aree del cervello, come l’ippocampo, dove nascono i ricordi, che provocavano i tipici vuoti di memoria.
Negli ultimi giorni invece un gruppo di ricercatori italiani dell’Università Campus Bio-Medico, coordinati dal Professor Marcello D’Amelio, ha individuato una nuova origine della malattia nell’area del mesencefalo chiamata tegmentale ventrale. Questa regione, molto profonda e difficile da accedere, ha la funzione di sintetizzare la dopamina, un neurotrasmettitore (ovvero un messaggero nervoso) collegato anche ai disturbi dell’umore. Gli scienziati italiani l’hanno definito come un “effetto domino”: muoiono i neuroni produttori di dopamina, di conseguenza i livelli di questo importante messaggero nervoso nell’ippocampo diminuiscono mandandolo in ‘tilt’. Il risultato è la progressiva perdita dei ricordi.
Come racconta D’Amelio in un’intervista, sono state effettuate diverse analisi morfologiche su quest’area, fin’ora mai considerata, che hanno evidenziato come i neuroni presenti sono i primi a morire nella malattia e questo provoca un malfunzionamento dell’ippocampo e della memoria.
Inoltre è stato scoperto un collegamento tra la depressione e il morbo di Alzheimer. L’area tegmentale ventrale infatti produce dopamina non solo per l’ippocampo ma anche per un’altra regione dell’encefalo, chiamata accumbens, che controlla i disturbi dell’umore. Quindi la morte dei neuroni di quest’area aumenta anche il rischio di andare in contro a progressiva perdita di iniziativa, tipica della depressione. “Perdita di memoria e depressione sono due facce della stessa medaglia, due campanelli d’allarme dietro i quali si nasconde il morbo di Alzheimer”, come affermano gli autori della ricerca.
Non solo: somministrando ad animali da laboratorio due diverse terapie, una con il farmaco L-Dopa, responsabile della sintesi di dopamina ed una con il farmaco che inibisce la degradazione di essa, hanno notato un pieno recupero della memoria e della motivazione in tempi piuttosto rapidi.
Lo scienziato D’Amelio prosegue affermando che il prossimo passo di questa ricerca sarà la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci, in grado di far accedere all’area tegmentale ventrale per scoprire i suoi funzionamenti. Vogliono inoltre conoscere i fattori che determinano la morte dei neuroni e quindi arrivare a novità diagnostiche e terapeutiche, non solo per il morbo di Alzheimer ma anche per il morbo di Parkinson (altra malattia degenerativa), poiché anch’esso è causato dalla morte di cellule nervose che producono dopamina.
Ad oggi però i due farmaci, sperimentati solo su topolini, non sono in grado di risolvere il problema della degradazione dei neuroni e non sono disponibili per tutti i pazienti affetti da Alzheimer: l’L-Dopa infatti funziona solo nelle ultime fasi della malattia, mentre il farmaco inibitore solo nelle fasi iniziali.
D’Amelio conclude affermando che i risultati di questa ricerca hanno aperto una nuova strada per arrivare ad un trattamento di queste patologie.
E’ stato scoperto il meccanismo all’origine della malattia della memoria, conosciuta come morbo di Alzheimer o semplicemente Alzheimer.
La malattia è una forma di deterioramento mentale o di demenza, caratterizzata, nelle prime fasi, da perdita di memoria a breve termine, e in stadio avanzato, anche a lungo termine accompagnata da altri sintomi come afasia, disorientamento e cambiamenti di umore.
Oggi la patologia colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e il 20% degli ottantenni; secondo alcune proiezioni i casi potrebbero triplicarsi nel prossimi 30 anni nei paesi occidentali.
Fino a poco tempo fa si pensava che la malattia fosse causata dalla degenerazione di aree del cervello, come l’ippocampo, dove nascono i ricordi, che provocavano i tipici vuoti di memoria.
Negli ultimi giorni invece un gruppo di ricercatori italiani dell’Università Campus Bio-Medico, coordinati dal Professor Marcello D’Amelio, ha individuato una nuova origine della malattia nell’area del mesencefalo chiamata tegmentale ventrale. Questa regione, molto profonda e difficile da accedere, ha la funzione di sintetizzare la dopamina, un neurotrasmettitore (ovvero un messaggero nervoso) collegato anche ai disturbi dell’umore. Gli scienziati italiani l’hanno definito come un “effetto domino”: muoiono i neuroni produttori di dopamina, di conseguenza i livelli di questo importante messaggero nervoso nell’ippocampo diminuiscono mandandolo in ‘tilt’. Il risultato è la progressiva perdita dei ricordi.
Come racconta D’Amelio in un’intervista, sono state effettuate diverse analisi morfologiche su quest’area, fin’ora mai considerata, che hanno evidenziato come i neuroni presenti sono i primi a morire nella malattia e questo provoca un malfunzionamento dell’ippocampo e della memoria.
Inoltre è stato scoperto un collegamento tra la depressione e il morbo di Alzheimer. L’area tegmentale ventrale infatti produce dopamina non solo per l’ippocampo ma anche per un’altra regione dell’encefalo, chiamata accumbens, che controlla i disturbi dell’umore. Quindi la morte dei neuroni di quest’area aumenta anche il rischio di andare in contro a progressiva perdita di iniziativa, tipica della depressione. “Perdita di memoria e depressione sono due facce della stessa medaglia, due campanelli d’allarme dietro i quali si nasconde il morbo di Alzheimer”, come affermano gli autori della ricerca.
Non solo: somministrando ad animali da laboratorio due diverse terapie, una con il farmaco L-Dopa, responsabile della sintesi di dopamina ed una con il farmaco che inibisce la degradazione di essa, hanno notato un pieno recupero della memoria e della motivazione in tempi piuttosto rapidi.
Lo scienziato D’Amelio prosegue affermando che il prossimo passo di questa ricerca sarà la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci, in grado di far accedere all’area tegmentale ventrale per scoprire i suoi funzionamenti. Vogliono inoltre conoscere i fattori che determinano la morte dei neuroni e quindi arrivare a novità diagnostiche e terapeutiche, non solo per il morbo di Alzheimer ma anche per il morbo di Parkinson (altra malattia degenerativa), poiché anch’esso è causato dalla morte di cellule nervose che producono dopamina.
Ad oggi però i due farmaci, sperimentati solo su topolini, non sono in grado di risolvere il problema della degradazione dei neuroni e non sono disponibili per tutti i pazienti affetti da Alzheimer: l’L-Dopa infatti funziona solo nelle ultime fasi della malattia, mentre il farmaco inibitore solo nelle fasi iniziali.
D’Amelio conclude affermando che i risultati di questa ricerca hanno aperto una nuova strada per arrivare ad un trattamento di queste patologie.