La scuola è spesso sotto i riflettori … ma di solito per parlarne male. C’è sempre qualcosa di cui lamentarsi o che “non quadra”. Certo, problemi difetti e situazioni critiche ce ne sono sin troppe e non manca chi dovrebbe finire …. dietro la lavagna. Ma non c’è davvero altro? LeoMagazine ha incontrato la prof. Cristina Grieco, già docente e dirigente scolastica e attualmente assessore all’istruzione della Regione Toscana: le sue competenze riguardano le politiche per l’educazione e l’istruzione, dai servizi per l’infanzia alle scuole secondarie superiori; inoltre la Formazione professionale, le Politiche attive per il lavoro, i Centri per l’impiego. L’assessore ci ha accolto con molta cortesia e disponibilità, accettando di rispondere ad alcune domande.
Assessore Grieco, lei viene dal mondo della scuola: dal 2007 era preside di un istituto di istruzione superiore. Cosa ha significato per lei passare a un ruolo importante nelle istituzioni? E cosa significa, esattamente, essere assessore regionale alla pubblica istruzione?
“Domanda difficile. Passare da dover gestire un’istituzione scolastica, che ha sicuramente una sua complessità, a dover pensare più in grande, ha comportato, almeno nel mio caso, solo un adeguamento dimensionale. Mi spiego: anche in questo ruolo, così come per un dirigente scolastico in una dimensione più piccola, c’è bisogno di ascoltare le esigenze dei vari tutori, saper fare una prognosi dei fabbisogni, di politiche attive del lavoro che si vogliono mettere in atto etc. Per tutti coloro che devono amministrare una organizzazione complessa, c’è bisogno della capacità di ascolto e di individuare e porsi un obbiettivo. Bisogna poi saper mettere in atto le politiche per raggiungere tale obbiettivo. A volte ci si riesce, a volte ci si discosta, e per essere efficienti c’è bisogno di saper fare un’analisi degli spostamenti, capire perché non si è riusciti a raggiungere tale fine in caso di fallimento, per poter successivamente elaborare un nuovo programma.
Non ho trovato un grosso cambiamento nel dover assumere questo ruolo, è stato più difficile passare da docente a dirigente. Nel dover dirigere una scuola mi sono abituata alla complessità e alla mediazione. Fatte salde le debite proporzioni di scala non c’è una grossa differenza tra rispondere a mille/duemila ragazzi e a studenti e lavoratori di un’intera regione.”
Sulla scuola si ascoltano giudizi di vario genere , spesso negativi; fa notizia solo quando c’è qualcosa di brutto o che “non funziona”. Qual è a suo parere lo stato di salute dell’istituzione scolastica?
“Si, questo è vero, qualsiasi cosa di negativo concerna la scuola riempie paginate di giornali mentre io, in questa veste, andando in giro, vedo esperienze ottime, pratiche incredibili e ragazzi che vengono valorizzati. Ecco di questo si parla molto poco ed è una nostra abitudine, di evidenziare all’inverosimile solo il negativo. Basti pensare alla Buona Scuola , sicuramente questo è stato un anno orribile per tutti i problemi che ci sono stati, però questa legge ha portato tanti finanziamenti , tante risorse in più alle scuole, tante assunzioni di insegnanti; questo è passato un po’ in sordina dietro poi alle polemiche. Per quanto riguarda lo stato di salute della scuola italiana, sebbene negli ultimi anni ci siano stati dei miglioramenti, ritengo che sia rimasta troppo staccata dal mondo del lavoro proprio nella logica del prima si studia e poi si lavora mentre è importante che i ragazzi conoscano anche dinamiche di lavoro, le soft skills e tutto ciò che significa il lavorare in team , cosa che non sempre si riesce a raggiungere a scuola. Quindi la dimensione lavorativa deve avere pari dignità e su questo l’Italia è rimasta indietro di decenni . Un altro male che vedo nella scuola italiana è il cattivo orientamento che poi è l’altra faccia della dispersione: tutto ciò è dato da un uso di criteri di scelta vecchio di quasi 40 anni, aggravato da una sbagliata assistenza fin dal periodo della scuola media che offre un orientamento solo informativo e non didattico. Questi sono i mali maggiori, insieme pure a quello di un corpo docente forse troppo distante dai ragazzi. Però devo dire che quando i nostri ragazzi vanno all’estero sono delle eccellenze nel loro campo, grazie ad una profondità di insegnamento che l’Italia ha il dovere di mantenere e di far coesistere con un’autovalutazione seria .”
Alternanza scuola-lavoro: c’è chi la ritiene l’araba fenice e chi invece…piaga d’Egitto. Lei come la vede?
“Come già esposto, la ritengo un’ottima opportunità per colmare questo gap tra i giovani e il lavoro rispecchiato dal 40% di disoccupazione giovanile e da ragazzi in cerca di lavoro e da imprese in cerca di personale: capite che tutto ciò va a creare un paradosso. Sicuramente l’alternanza è uno di questi strumenti anche se dover mettere un milione e mezzo di studenti nel giro di tre anni a contatto con il mondo del lavoro, non è semplice e serve che anche le scuole aiutino a fare di queste esperienze un qualcosa che arricchisca il curriculum. Perciò sento necessario avvicinare questi due mondi e togliere i ragazzi da questa logica della sequenzialità del “prima studio e poi lavoro.” Capisco che per una scuola che non ha mai fatto dei percorsi del genere, un monte ore così ampio può raffigurare una sfida, sfida che però tutto il sistema si deve porre in grado di affrontare e superare.”
Venendo alla Toscana: come vede la situazione della scuola nella nostra regione?
“La Toscana sta molto meglio di altre regioni: abbiamo esperienze di eccellenza su tutto il percorso formativo, sicuramente sull’educazione 0-6 anni siamo molto avanti e abbiamo già raggiunto gli obiettivi di Lisbona 2010 da tempo; vantiamo inoltre più del 33% dei bambini che vanno la nido , la scuola d’infanzia praticamente generalizzata (cosa non comune in Italia).
È però innegabile la presenza di criticità su cui dobbiamo lavorare: alcuni istituti professionali hanno degli ambienti non idonei dal punto di vista dell’edilizia scolastica e quindi bisogna continuare ad investire in questo.
Finalmente dopo anni il governo ha ripreso a fare una programmazione quantomeno triennale degli investimenti per l’edilizia scolastica, direi perciò che siamo di molto sopra la media.
Dobbiamo invece ancora lavorare sulla dispersione e sull’abbandono precoce: il trend è positivo, sta scendendo. Abbiamo infatti raggiunto il 17% di abbandono, il che vuol dire che quasi 1 ragazzo su 5 abbandona la scuola prima di aver ottenuto una qualifica triennale, ma questi sono numeri ancora troppo alti. A mio parere questa rimane l’altra faccia della medaglia del cattivo orientamento e di una scarsa capacità di motivare e di mantenere costante l’interesse dei giovani.”
Che consiglio darebbe, a un giovane toscano che deve scegliere la scuola superiore?
“Come prima cosa di non scegliere né sulla base di mode, né sulle scelte degli amici, né sulla base dei consigli “gerarchici” degli insegnanti delle medie. I ragazzi devono rientrare nella categoria di studi che più gli piacciono, capire dentro quello che gli piace fare, comprendere la modalità di approccio che preferiscono verso i percorsi formativi. La responsabilità la abbiamo anche noi istituzioni, e per questo motivo dobbiamo evitare che le scuole facciano esposizione della propria mercanzia e cercare di far vedere anche il territorio, ovvero quelle che possono essere filiere formative collegate a quelle produttive. Ma a questo ci dovremo arrivare pian piano. Quest’anno abbiamo fatto una sperimentazione per la scelta post diploma, ma cercheremo di riproporre lo stesso modello in scala universale per le scuole medie.”
I “giovani d’oggi”… Lei cosa ne pensa? Ha fiducia o è pessimista?
“Chiunque, come me, abbia sempre avuto a che fare con i giovani non può essere pessimista, perché sarebbe una contraddizione in termini. Io trovo nei ragazzi di oggi una maggiore voglia di protagonismo e un atteggiamento meno passivo rispetto a qualche decennio fa. I ragazzi sono il futuro, noi come adulti ed educatori abbiamo la grossa responsabilità di renderli parte attiva nella costruzione di questo mondo che poi gli lasceremo come a una staffetta: i giovani sono il buono, se non siamo capaci di “tirarvi fuori” al 100%, dovremmo fare una riflessione su di noi e non certo sui giovani.”
Pietro Di Cosimo – Dario Fanfani – Alessio La Greca